Ricucire lo strappo tra cultura e politica
“Non possiamo fare una Costituzione afascista cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima, il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni”. Così nella seduta dell’Assemblea costituente del 13 marzo 1947 Aldo Moro, poco più che trentenne, dopo “una cordiale discussione” rispondeva all’onorevole Falcone Lucifero, già ministro della Real Casa, che esprimeva il desiderio che la nuova Costituzione italiana fosse una Costituzione afascista e non antifascista. Moro chiariva con dati storici e toni pacati la distanza incolmabile tra l’uno e l’altro termine. Si rivolgeva agli altri membri della Costituente con uno stile dialogico non rintracciabile oggi in un confronto politico dai toni alti e dal muro contro muro.
“Non possiamo dimenticare – affermava Moro – quello che è stato (il fascismo), perché questa Costituzione emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”. Lo stile dialogico che il giovane membro della Costituente ebbe anche con Palmiro Togliatti, Lelio Basso e altri, si ritroverà in tutta la sua esperienza umana e politica. Ma oggi che ne rimane? “Chi ha più filo tesserà” affermava Moro facendo sintesi della sua scelta comunicativa e facendo intendere che questo filo era quello dello studio, del pensiero, del ragionamento, della memoria, della pazienza attiva e rispettosa dell’avversario politico.
Nella polemica scaturita nei giorni scorsi da parole avventate sul senso della celebrazione del 79° anniversario dell’eccidio alle Fosse Ardeatine l’appello a questo stile dialogico era rintracciabile nel silenzio pensoso del presidente della Repubblica. I “tessitori” di relazioni sono stati sostituiti da comunicatori di parole sradicate dal terreno dello studio, dell’ascolto, della riflessione e del discernimento. È così aumentato il numero dei cacciatori di consenso ed è diminuito quello dei cercatori e dei costruttori di senso. La politica senza cultura non riesce infatti a stare dentro la profondità dei cambiamenti in corso, non riesce a leggere la storia con onestà intellettuale e smarrisce la strada verso il futuro. I primi a subire le conseguenze di questa mediocrità e a esserne deluse sono le nuove generazioni. Non si può tuttavia dire che tutto sia perduto perché ci sono idee e progetti in movimento in particolare nella società civile. “Chi ha più filo tesserà” direbbe Moro richiamando a giovani e adulti il compito di riamare la fatica e la bellezza dello studiare, del pensare e dell’ascoltare per aprire un percorso nuovo verso il bene comune, verso la democrazia.