Quota 100: chi paga l’anticipo?
“Come faccio a non essere contento? A me Quota 100 regala sei mesi di anticipo pensionistico. Ne sentivo il bisogno? No! Se poi guardo i miei figli e penso a cosa li aspetta quando saranno loro in età di pensione, vado un po’ in crisi. Io lascerò il lavoro sei mesi prima, ma la cambiale la pagheranno loro”
“Come faccio a non essere contento? A me Quota 100 regala sei mesi di anticipo pensionistico. Ne sentivo il bisogno? No! Se poi guardo i miei figli e penso a cosa li aspetta quando saranno loro in età di pensione, vado un po’ in crisi. Io lascerò il lavoro sei mesi prima, ma la cambiale la pagheranno loro”. Forse stufo delle mie domande (e della fatica a fare semplice una questione che semplice non è) il responsabile di uno dei maggiori patronati che operano a Brescia mi spiega la riforma pensionistica giallo-verde così, parlando del suo caso. Un’operazione figlia della demonizzazione della riforma del 2012 che il leghismo si è intestato e del bisogno del suo attuale massimo interprete di alimentare l’immagine del decisionista tutto certezze. Ha fretta Salvini.
Vuole capitalizzare il consenso che ha e quello che i sondaggi gli vanno prefigurando. La scadenza sono le elezioni europee di maggio. E tutto serve, anche Quota 100, per accreditare l’immagine del politico che le canta e le suona al nemico di turno, che si chiami Elsa Fornero o Jean-Claude Juncker. Sulla carta la riforma si limita ai prossimi tre anni. Possono godere dell’anticipo pensionistico i lavoratori che hanno o raggiungeranno da qui al 2021 i 62 anni d’età e 38 di contributi. Le stime parlano di 8.000 bresciani potenzialmente interessati. Buon per loro. Dovranno fare bene i conti, non tanto sulle penalizzazioni, che sono irrisorie, ma sul vincolo più stringente della scelta: se approfitti dell’agevolazione non potrai più ricominciare a lavorare. Che è giusto, intendiamoci, ma che manderà in crisi tanti. Se però non si può che essere contenti per coloro che rientrano nella finestra temporale della nuova agevolazione, qualche domanda sulla bontà e sull’opportunità dell’operazione resta. Con storie di lavoro frammentato e discontinuo i giovani lavoratori di oggi andranno in pensione unicamente con il requisito dell’età; in ragione dell’adeguamento di questa soglia all’aspettativa di vita la vedranno aumentare di circa tre mesi ogni biennio.
Dal primo gennaio 2019, tanto per fare un esempio, per maturare la pensione di vecchiaia servono 67 anni d’età e non più 66 anni e 7 mesi. Il Governo aveva detto che avrebbe sterilizzato il meccanismo. E lo ha fatto, solo sulle pensioni anticipate però, non sulle pensioni di vecchiaia, scaricando così sulle spalle dei giovani il peso della riforma . Dice ancora il Governo che Quota 100 libererà 400mila posti di lavoro che saranno immediatamente disponibili per i giovani. Non c’è studio o ricerca che confermi questo ragionamento, ma certamente fa presa. E poi c’è la quotidianità di una provincia come la nostra che ha una radicatissima tradizione di lavoro: “Senta – dice un signore alla giovane operatrice del Patronato – io ho cominciato a lavorare a 17 anni, ne ho 40 di contributi e 57 di età. Mi spiega perché uno che ha 38 anni di contributi, due meno di me, può andare in pensione e io no?”.