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di RICCARDO MONTAGNOLI 26 mag 2016 00:00

Questioni di interpretazione

Stabilire a priori se una legge contrasti con la Costituzione (e sia quindi illegittima) è tutt’altro che agevole

Davvero, come ritengono alcuni autorevoli commentatori, la legge appena approvata sulle unioni civili è per più versi incostituzionale? Come è possibile che il Parlamento abbia approvato un testo illegittimo e che il Presidente della Repubblica l’abbia poi promulgato senza rinviarlo alle Camere, come la Costituzione gli avrebbe consentito? In realtà stabilire a priori se una legge contrasti con la Costituzione (e sia quindi illegittima) è tutt’altro che agevole, per svariati motivi riconducibili sostanzialmente a due aspetti. Il primo riguarda lo stesso testo costituzionale: la legge fondamentale individua la trama dei principi su cui si tesse l’ordito dell’ordinamento giuridico; perciò vi ricorrono frequenti quelle che i giuristi chiamano “clausole generali”, espressioni sintetiche che rimandano a un’ampia gamma di significati, da definire e adattare per le specifiche situazioni.

L’art. 2, non a caso di grande importanza in tema di unioni civili, afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Quali sono i “diritti inviolabili dell’uomo”? Cosa si intende per “formazioni sociali”? e per svolgimento della “sua personalità”? e ancora quali sono i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” da adempiere? Ognuna di queste espressioni rinvia ad una galassia di significati, tra cui l’interprete (politico, studioso, magistrato, avvocato, semplice cittadino) deve selezionare quello pertinente a ciò di cui si occupa.

Non solo: il significato di qualsiasi testo normativo, compreso quello costituzionale, va ricostruito per “interpretazione sistematica”, cioè non dimenticando che non si tratta di un aforisma isolato, ma si inserisce nel contesto di tutte le altre norme, costituzionali e non. Per capire l’art. 29, che definisce la famiglia “società naturale fondata sul matrimonio”, occorre tener presente il concetto di matrimonio definito dal codice civile. Proprio in forza di questo argomento la Corte costituzionale ha a suo tempo escluso che possa definirsi matrimonio l’unione anche stabile tra due persone dello stesso sesso, perché il codice civile presuppone la differenza sessuale tra i coniugi; ma, per tornare a quanto si diceva in precedenza, proprio la stessa sentenza (n. 138 del 2010) precisa che l’unione tra due persone dello stesso sesso, per quanto non possa definirsi matrimonio, costituisce comunque una “formazione sociale” in cui si svolge la personalità di coloro che vi danno vita e perciò è meritevole di tutela in base all’art. 2 che si citava prima.

L’interpretazione di una norma giuridica, soprattutto della Costituzione, è dunque tutt’altro che semplice e dipende non solo da molteplici termini di riferimento (non esclusa la tradizione culturale del Paese), ma anche in parte dalla sensibilità dell’interprete. Questo spiega tra l’altro perché vi sia chi parli di incostituzionalità della legge sia nel senso che avrebbe concesso troppo alle unioni civili, sia nel senso opposto. Alla fine l’ultima parola spetterà alla Corte costituzionale, il cui compito principale consiste proprio nel verificare la conformità delle leggi ordinarie rispetto ai principi costituzionali. Tuttavia (questo è l’altro profilo di complessità), la stessa Corte è un organo in cui si avvicendano nel tempo giuristi di varia estrazione, sensibilità e cultura, sicché anche la sua interpretazione dei principi costituzionali può modificarsi nel tempo: ecco perché non è raro che la stessa norma, giudicata in un primo tempo conforme alla Costituzione, sia successivamente dichiarata illegittima.
RICCARDO MONTAGNOLI 26 mag 2016 00:00