Questione di sguardo
Ho visto giocare a pallavolo strisciando sul pavimento, tirare con l’arco senza mani, nuotare senza braccia o senza gambe. E ho visto molto altro. Come commentare senza dire ovvietà? Perché queste scene non avrebbero neanche bisogno di commenti. Penso alla difficoltà di questi atleti solamente per prepararsi per andare in palestra o ai luoghi di allenamento, per il trasporto sul posto, forse anche per trovare allenatori disponibili, oltre alla fatica per ritornare a casa… E molte altre fatiche che non so immaginare.
Le immagini delle Paralimpiadi dovrebbero essere usate a fini didattici con i ragazzi, nelle varie agenzie educative: scuola, oratorio, associazioni sportive o di varia natura… Ma sarebbe molto utile che le vedessimo anche noi adulti demotivati ad impegnarci per dare benessere alla nostra vita, che continuiamo a lamentarci di ciò che manca o che non è perfetto, che non ci responsabilizziamo con l’alibi di circostanze sfavorevoli nella nostra vita, passate o presenti, che diciamo troppo spesso “ormai” o “cosa ci posso fare?!”
L’unico abbraccio che ho visto dare ad un atleta in carrozzina nel momento della premiazione è stato quello dato da un funzionario a sua volta in carrozzina, dopo averlo premiato: forse a conferma che solo chi ne ha esperienza può condividere pienamente un’esperienza? O forse che la sofferenza rende più sensibili ed empatici? Ho visto un atleta al centro del podio, in piedi, inginocchiarsi fra gli altri due in carrozzina, sensibile all’inferiorità come chi spesso nella vita si sente inferiore. Dev’essere bellissimo per questi atleti sperimentare quello che nella loro vita è discriminante diventare invece normale, sentirsi uguali agli altri almeno una volta. In quel contesto presumibilmente sperimentano che è normale ciò che normalmente è anormale. Come a dire che forse è il contesto a far sentire anormali. E il contesto siamo noi, i normodotati. Allora sentiamoci responsabilizzati. E responsabilizziamoci. Così verso ogni diversità dettata da una maggioranza. Ho visto, nei giorni delle Paralimpiadi, in un negozio una ragazza con i pantaloncini corti e, così, in bella mostra la protesi dell’intera gamba. Di solito chi ha subito un’amputazione tende a coprire la protesi.
Forse che, vedendo le Paralimpiadi abbia superato la paura di esporre la sua diversità? Forse che non si senta più così diversa? E forse che, avendo visto le Paralimpiadi, anche i miei occhi non la vedono più così diversa? Se le Paralimpiadi servissero a cambiare i nostri sguardi di normodotati svolgerebbero una funzione sociale facendo bene non solo agli atleti che vi partecipano.