Questione di mesi
9 mesi è il tempo medio che ci vuole. A volte si arriva a 12. Molto dipende dalle fasi dell'anno. Se lo si cerca a inizio anno o nella tarda primavera, allora i tempi si accorciano, altrimenti si allungano. Molto dipende dall'età, dalla zona geografica, dal titolo di studio. Fino ad una decina di anni fa si parlava di un tempo medio di 15 mesi per trovare lavoro. Sembrerebbe un dato molto astratto perchè ci sono troppe variabili in gioco. Eppure un indicatore così aiuta a fare dei raffronti con altri Paesi europei. La Germania, per esempio, ci impiega molto di meno e la Spagna invece di più. Forse dipende dalle politiche attive del lavoro: se ci sono, i tempi migliorano. Breve spiegazione. Le politiche passive del lavoro sono quelle di sostegno economico al reddito: se perdi il lavoro, lo Stato ti dà un sussidio per alcuni mesi o anni. Le politiche attive del lavoro sono invece quelle che migliorano la professionalità, e dunque sono fatte di formazione, orientamento, inserimento guidato, apprendistato. Le politiche attive sono poco sviluppate in Italia. Il Pnrr potrebbe realizzarle, ma occorre tempo, tenacia, competenza, perché il sistema economico sta cambiando rapidamente e serve adeguarsi in modo intelligente, a partire dalle competenze digitali. Alcuni diplomi e alcune lauree avranno “meno mercato”, perché stanno velocemente cambiando le professionalità e i mestieri. C'è dunque bisogno di un accompagnamento vero. L'accompagnamento è un lavoro vero e proprio, per questo aumentano le agenzie che si occupano di trovare i “lavoratori giusti” alle imprese. Ma serve comunque il tempo giusto.
Invece ai poveri il tempo non lo si dà. Nella legge di bilancio che sta per essere approvata si danno 7 mesi di tempo per trovare lavoro a persone che nell'oltre 70% dei casi hanno un titolo di studio di terza media, una certa età, vivono al sud, da ormai tre anni non sono stati assunti da nessuno. 7 mesi. Senza politiche attive, al momento. Se entro luglio non troveranno lavoro, si toglierà loro il sussidio monetario (la politica passiva, insomma). Se si vuole fare un serio contrasto alla povertà serve qualcosa di più di una minaccia, di un limite così duro verso le situazioni di fragilità, di difficoltà, di vulnerabilità sociale. Servono semmai politiche di inserimento perché pochi assumono volentieri certe biografie, certe storie, magari in assenza anche di certe competenze tecniche. Senza le politiche attive del lavoro, anche una certa povertà è destinata a perpetuarsi. E così gli ultimi resteranno ultimi.