Quello che dobbiamo
Abbiamo appena vissuto la solennità del Corpus Domini, una festa per celebrare un corpo che duemila anni fa è nato, ha percorso strade, incontrato persone, provato emozioni, fame, sonno, piacere, limite, dolore, è morto, risorto e salito al cielo. Ma la storia non finisce qui, perché Gesù di Nazareth, che, secondo l’autore della lettera agli Ebrei, avrebbe parlato così al Padre: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato”, ha vissuto il suo corpo come dono e, come tale, ha trovato il modo di ridonarlo a noi, suoi fratelli. Avrebbe potuto lasciarci in eredità oggetti, scritti, magari una ciocca dei suoi capelli o un lembo della sua veste… che poi ci saremmo contesi e − la storia insegna − avremmo finito per distruggere. E invece, donando ai suoi apostoli un pezzo di pane e un sorso di vino, ha parlato di corpo da mangiare (addirittura da masticare!) e sangue da bere, il suo, così simile al nostro. Un Sacramento che è insieme nutrimento e strada. È cibo di cui il nostro corpo ha tanto bisogno, quando anche noi, come Gesù, proviamo a balbettare, con fede, le sue stesse parole: “Tu non vuoi da me sacrifici, offerte, devozioni… Un corpo, invece, mi hai preparato”. Se crediamo che la nostra vita, anche quella di fede, si gioca a partire da questo “luogo” (il nostro corpo che non abbiamo scelto, ma ricevuto), il nostro primo compito è quello della gratitudine.
Grazie, perché ci sono e sono così! Mi è andata “bene” (secondo i criteri comuni) e sono bella, sana e forte? Grazie, perché ho ricevuto questo corpo attraverso il quale e nel quale imparo ad amare. Mi è andata “male” e sono brutta, malconcia e malata? Grazie ugualmente, perché se fossi diversa, non sarei “io”, che, facendo fatica ad accettarmi, nel dirti grazie sento su di me occhi che accarezzano e mani che curano e così imparo ad amare. Mangiare Gesù ci dà la forza per fare quello che ha fatto Lui. Di più: mentre mangiamo Lui o semplicemente guardiamo quel pezzo di pane, sappiamo esattamente quello che dobbiamo fare noi: diventare pane da offrire, perché altri mangino di noi, ossia amare fino a morire. Mi hanno sempre colpito, tanto da stamparsi dentro di me con la potenza che le immagini possono avere, le parole di S. Ignazio di Antiochia, durante il viaggio verso Roma, dove sarà ucciso con l’accusa di essere cristiano: “Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo”. Vivere così la nostra corporeità, come una sempre aggiornata mappa da leggere per orientarci nel cammino verso la Meta, ci libera da pesanti zavorre e ci riconcilia finalmente con noi, con Dio e con gli altri.