Quei giovani che ancora ci sanno stupire
Parola di Mori. “A me non stupisce che siano in pochi. A me stupisce, in questo momento in cui la cultura va da tutt’altra parte, − ha detto don Marco, durante il Convegno del clero, citando una frase del vescovo Luciano − che ci sia ancora qualche ragazzo che gusti e ascolti il Vangelo”
Parola di Mori. “A me non stupisce che siano in pochi. A me stupisce, in questo momento in cui la cultura va da tutt’altra parte, − ha detto don Marco, durante il Convegno del clero, citando una frase del vescovo Luciano − che ci sia ancora qualche ragazzo che gusti e ascolti il Vangelo”. E ha concluso: “Ricominciamo da questo stupore!”. I preti bresciani riuniti nei giorni scorsi per l’inizio dell’anno pastorale vogliono provarci ancora. Guardare ai giovani con stupore. Il Sinodo dei Vescovi su “Giovani, fede e discernimento vocazionale”, voluto dal Papa, che si celebrerà nell’ottobre del prossimo anno, in fondo, chiede questo a tutta la Chiesa. Ricominciamo da lì.
C’è nei nostri preti, giovani o vecchi che siano, la convinzione che i ragazzi sono un dono per la nostra fede. Lo dico perché, poco o tanto, non c’è prete bresciano che non l’abbia sperimentato. Basta ascoltare il racconto della vita di qualunque sacerdote della nostra Chiesa per capire come in un attimo affiorino tra le cose più belle gli incontri con i giovani della prima ora, gli anni di servizio in oratorio, la fede, le gioie e le fatiche vissute con tanti ragazzi. È un dono. “La nostra responsabilità educativa − dice don Marco − è, per così dire, secondaria, viene dopo questo dono. Dalla bellezza di custodire questo dono parte la voglia di servirli, e di prendere le decisioni giuste per la pastorale giovanile dei prossimi anni”. Vale per i preti, ma certo vale anche per tanti educatori, catechisti, animatori, comunità cristiane che ai giovani hanno dedicato tempo ed energie. Ecco allora qualche spunto su cui lavorare. Anzitutto “la sterilità dell’iniziazione cristiana − ha ripreso Mori − se non giocata con un sano riequilibrio delle forze educative, perché c’è bisogno di diversità e di discontinuità reale, soprattutto nel cammino che segue”. Insomma una sana integrazione.
In secondo luogo l’esigenza, con gli adolescenti e i giovani, soprattutto di ascoltare e essere loro vicini. “Bisogna anche lasciar fare e aumentare il nostro accompagnare, il nostro stare a fianco. Dobbiamo tanto ascoltare, e invitarli a essere loro promotori di azioni pastorali, annunciatori del Vangelo”. E ancora: “l’oratorio che sempre ha bisogno di una nuova progettualità e la pastorale giovanile che è, per sua natura, trasversale e multiforme”, ricorda don Marco. Infine “la missionarietà e la profeticità della proposta pastorale bresciana che ci ha fatto abitare e animare non soltanto i nostri contesti, ma le nostre città”. Linee, forse non nuove, ma che ci rimettono in pista a servizio dei giovani, di tutti i giovani a partire dagli ultimi e dai più bisognosi. Nessuno escluso. Mettersi a servizio di questi giovani, che sono stati e che sono un dono per la nostra fede di preti, “porta − afferma don Marco − al nostro sacerdozio una sana inquietudine al cambiamento che non ci permette, nemmeno noi, di essere preti-divano”. Inquietudine che non è solo per i preti, ma per tutta la Chiesa. Chi riparte dai giovani accetta l’inquietudine della vita evangelica. Per questo non può avere diritto di cittadinanza nella comunità ecclesiale nessun prete-divano, nessun animatore, catechista, parrocchia o unità pastorale-divano. Quella fede di cui qualcosa come adulti cristiani forse possiamo narrare ha bisogno di modelli di vissuto concreti nei quali incarnarsi. Solo i giovani sanno compiere questo percorso, solo da loro possiamo imparare come il Vangelo si declina nel loro vissuto. Furono le prime parole del vescovo Luciano ai giovani riuniti in piazza Paolo VI il giorno del suo ingresso a Brescia il 14 ottobre 2007. Già allora erano profetiche. Già allora ci lanciavano una sfida. Già allora chiedevano coraggio e voglia di mettersi in gioco. Parola di Mori: “Questo, forse, è il dono più grande che i nostri ragazzi offrono al nostro sacerdozio: che siano benedetti!” Ai preti. A tutti.