Quei bimbi soldato non vi indignano
Bambini assoldati, arruolati a forza, dal Califfato e addestrati a uccidere, a compiere attentati kamikaze contro obiettivi militari e civili
Sono numerosi i Paesi in cui questa pratica viene condotta, tra questi, anche in Sud Sudan, Sierra Leone, nella Repubblica Centrafricana, in Somalia, Afghanistan, stando alle denunce di organizzazioni internazionali come Human Rights Watch (Hrw). Si stima che 250mila bambini siano coinvolti in conflitti in tutto il mondo. Sono usati come combattenti, messaggeri, spie, facchini, cuochi, e le ragazze, in particolare, sono costrette a prestare servizi sessuali, privandole dei loro diritti e dell’infanzia. In Siria e in Iraq la propaganda passa attraverso minori che uccidono, o nella migliore delle ipotesi, vestiti da jihadisti che agitano le bandiere nere dello Stato Islamico o inneggiano allo sgozzamento dell’infedele. Minori desensibilizzati per rendere accettabile il crimine, mostrati quali protagonisti di azioni efferate con l’intento di colpire l’attenzione dei media internazionali e dell’opinione pubblica occidentale.
Ma come rispondono i media internazionali ma, soprattutto, dov’è oggi l’indignazione dell’opinione pubblica? In un recente passato la piaga dei bambini soldato nei conflitti africani era stata affrontata con passione e azione, anche a livello ecclesiale. Tanti i progetti e gli interventi di prevenzione e recupero, di informazione e di monitoraggio della situazione per mostrare la gravità delle violazioni commesse e per costringere chi colpisce, abusa o sfrutta i bambini a renderne conto. La stessa passione e aggiungiamo, la stessa indignazione, sembrano ora, non esserci davanti alle immagini - crudeli allo stesso modo - dei bambini usati nei conflitti di Siria e Iraq. Davanti alle loro testimonianze, che non conoscono nazionalità, etnia e fede religiosa, passione e indignazione non possono essere di facciata.