Quarantena o quaresima?
Oggi abbiamo una grande occasione, che non possiamo perdere, cercando di trovare un “senso” al nostro essere uomini, proprio alla luce della calamità che ci sta affliggendo
Quarantena o Quaresima? Certo nessuno se lo sarebbe mai aspettato che il tempo liturgico dedicato alla conversione in preparazione della Pasqua, avrebbe avuto i connotati dell’emergenza che stiamo vivendo. Motivi di dolore, sofferenza o anche semplice disagio non mancano e riempiono ormai ogni giorno della nostra vita. Per chi, come me, lavora in ospedale si trova in ogni momento a vivere due sentimenti contrastanti: la paura e la speranza. Paura umana nel dover fronteggiare una condizione di emergenza che sembra sovrastarci “alla grande”, come dicono oggi i ragazzi; speranza perché la nostra volontà, il nostro impegno e anche il nostro dovere professionale ci impone di credere fermamente che in fondo al tunnel buio – non sappiamo quanto lungo e fatto a gomito, cosicché si vedono solo tenebre – c’è, ci deve essere la luce della vita. Siamo di fronte alla metafora della Quaresima, appunto: in fondo al tempo quaresimale della prova e del sacrificio, c’è sempre la luce della Risurrezione. Oggi abbiamo una grande occasione, che non possiamo perdere, cercando di trovare un “senso” al nostro essere uomini, proprio alla luce della calamità che ci sta affliggendo. E’ l’occasione che ci obbliga a resettare tutta le nostre false sicurezze e velleità di onnipotenza: mentre il pensiero vola sulle ali della convinzione che all’uomo tutto è possibile, la cruda concretezza di questi giorni ci dice tutta la nostra drammatica vulnerabilità e fragilità. Un frammento microscopico di acido nucleico sta mettendo in ginocchio l’intero pianeta. Mentre vagheggiamo di intelligenza artificiale, di transumanesimo, di cyborg-umanità e di sonde per colonizzare Marte, di fronte a questo invisibile nemico ci scopriamo terribilmente disarmati, quasi succubi, in balia della sua furia mortifera. Esagerazioni? Facciamo una visita agli obitori dei nostri ospedali: i segni concreti della morte occupano perfino i luoghi destinati alle esequie, togliendo ogni spazio fisico per un breve attimo di raccoglimento.
Ricordo un passo di una canzone di Fabrizio De Andrè: “Quando si muore, si muore soli”… mai come oggi, purtroppo, è una dura realtà. E’ una lezione di vita che non dobbiamo lasciarci scappare, magari recuperando quel sapiente ammonimento del Vangelo: “Senza di me non potete fare nulla”. Il tentativo di vivere “etsi Deus non daretur”, che dall’Illuminismo in poi ha fermentato tutte le ideologie anticristiane degli ultimi secoli, sta mostrando tutta la sua tragica inconsistenza. “Torniamo a Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima”, grida il salmista: è l’hastag più sapiente e più sicuro che possiamo proporre, perché solo questa è la garanzia che #andràtuttobene. Possiamo prendere esempio dal figlio minore della parabola evangelica: stiamo dissipando energie mentali, culturali, politiche, economiche, in programmi sociali che vanno contro la vita e la famiglia, che esaltano l’arbitrio fino a trasformare in diritto la morte, il suicidio, la droga, la soppressione degli innocenti dal seno materno fino ai gommoni nel Mediterraneo. Forse è giunto il momento di fare ritorno a quel Padre che non si è stancato mai di aspettarci, con il coraggio e l’umiltà di ammettere che la pandemia più devastante l’abbiamo provocata con le nostre stesse mani peccando contro la vita. Come diceva Friedrick Holderlin: “Ciò che spesso fa della nostra vita un inferno, è la nostra pretesa di farne un paradiso”. Il coronavirus è la prova provata che siamo creature, che la morte è un leviatan che ci sovrasta, ma che possiamo vincerla, anche se il virus ci affligge, appoggiandoci alla promessa di cui tutti gli uomini sentono bisogno, anche i non credenti: “Non vi lacerò soli. Io sarò con voi ogni giorno, fino alla fine dei tempi”. Smettiamo di vergognarci della nostra fede, quasi fossimo degli sciocchi visionari, categoria votata all’estinzione e fardello inutile, anzi dannoso, della civiltà tecnocratica. Non potete immaginare quante volte in questi giorni ho incontrato persone malate che – spesso con un filo di voce – mi hanno detto: “Dottore so che lei è credente. Dica una preghiera, per favore, qui vicino a me”. E poi il segno della Croce, l’umilissimo gesto che ha il potere di vincere la morte e aprire le porte della Vita senza fine a tutti, anche a chi poco dopo muore per coronavirus.