Quante verità
Quante verità, mezze verità o lembi di verità servono per consentire alle vittime della strage di Piazza Loggia di riposare in pace e a chi le ricorda, che di quella pace è testimone, di innalzare al cielo la preghiera di suffragio, che, mondata dai dubbi e resa libera dalla Verità, finalmente svelata potrà lenire l’umano dolore e illuminare di luce nuova la strada che guarda al futuro? Qualche giorno fa, dopo 50 anni e undici mesi, un altro velo è caduto, un’altra pagina di storia è stata scritta, altre mille e mille parole sono state usate per condannare quello che, allora, era un ragazzo di 16 anni e oggi un anziano che di anni ne ha accumulato 67. Quel ragazzo − Marco Toffaloni − è stato riconosciuto colpevole e complice dell’orrenda strage, messaggero di morte, portatore della bomba destinata a sconvolgere la città e a seminare terrore, forse ignaro di ciò che recava a destinazione, ma certo non in diritto di tacere e continuare a tacere, di sentirsi autorizzato a vivere altrove, lontano dalla città invocante giustizia, libero di ritenersi esente da ogni rimorso e complicità… Di fronte alla sentenza di condanna, di nuovo il boato della bomba diceva che quel giorno − 28 maggio 1974 − non aveva ancora esaurito il suo triste corso, che alla verità cercata e desiderata mancavano ancora le pagine e gli appunti in grado di dare volto e nome ai mandanti e agli ispiratori di quella carneficina. Sono passati 50 anni e undici mesi e i giovani non sanno quello che gli anziani hanno già quasi del tutto dimenticato. Eppure, di fronte alla nuova sentenza, altre preoccupazioni, altri pensieri, nuove riflessioni pretendono spazio e reclamano ascolto.
La città non dimentica… E quella data − 28 maggio 1974 − non smette di rinnovare il tempo della tragedia. Allora Brescia, benché investita dalla furia devastatrice di cui s’ammantavano i portatori di odio e di insensati estremismi, manteneva intatta la sua tradizione di civiltà, vantava forti credenziali democratiche, possedeva amore per la libertà. Per quella città vivere e credere nella libertà significava rendere testimonianza al bene comune, dare valore alla democrazia, lottare contro ogni forma di violenza, costruire simboli e segni di autentica civiltà. Questo giornale raccontò quei giorni senza nascondere emozioni, paure, speranze e lacrime, senza giudicare per schierarsi, ma avendo consapevolezza che da quel momento incominciava un’altra storia: non più e soltanto di lavoro e sviluppo, piuttosto di contrapposizioni politiche lontane dal sentire di una città che nel suo stemma orgogliosamente mostrava quel “Brixia Fidelis Fidei et Iustitiae” − motto della città scolpito nel marmo e messo bene in vista su Palazzo Loggia, sede della municipalità − che era programma e impegno a cui uomini liberi e cristiani coraggiosi dovevano e volevano rendere testimonianza. Su tutto e tutti dominavano la Pietas dovuta ai morti ammazzati dalla bomba e la condanna per le mani levate e per i pugni esibiti, incapaci di rispettare sia i morti costretti al silenzio dalla bomba, sia i vivi che invocando giustizia invocavano anche misericordia e perdono.
“Voce” annotò allora la caduta della pietà, ma anche che i morti non avevano il pugno chiuso, l’avevano infatti dischiuso per far entrare la luce. Oggi, quella luce, non si è ancora del tutto diffusa. E nelle zone ancora in ombra emerge la figura del ragazzo oggi riconosciuto colpevole di un fatto che lo sovrastava allora e che lo sovrasta ancora oggi. Permangono domande angoscianti: chi lo indottrinò per essere messaggero di morte? Chi lo mandò a deporre la bomba? Chi gli consegnò i trenta denari del tradimento? Chi lo coprì e lo nascose e lo sottrasse alla Giustizia? Solo le risposte a queste domande consentiranno alla Verità di emergere e ai morti di riposare nella pace.
