Quando servire è sacrificio
Il mondo più o meno sommerso della sofferenza psichica sembra meritare attenzione solo quando, come nel caso di Nadia, la giovane operatrice uccisa nei giorni scorsi a Iseo, un nuovo martire dell’assistenza e della cura viene sacrificato sull’altare della propria dedizione, del proprio servizio. L'opinione del presidente dell'Irccs San Giovanni di Dio
Le cronache di tutti i giorni sono ricolme di esempi di malasanità, di comportamenti scorretti e quasi mai si soffermano su chi si prodiga silenziosamente accanto a persone con problematiche serie e impegnative come quelle dei malati psichici. Ci sono migliaia di persone fra medici, infermieri, operatori sanitari, educatori, psicologi, familiari e volontari che ogni giorno affrontano un piccolo o grande calvario nel silenzio più assoluto e di cui capita di parlare solo quando spiacevoli o deprecabili eventi accadono nonostante la fatica, il sacrificio, la dedizione di tutti. Il mondo più o meno sommerso della sofferenza psichica sembra meritare attenzione solo quando, come nel caso di Nadia, la giovane operatrice uccisa nei giorni scorsi a Iseo, un nuovo martire dell’assistenza e della cura viene sacrificato sull’altare della propria dedizione, del proprio servizio; sull’altare dell’amore profuso per un modesto stipendio o per una totale generosità vissuta nel volontariato più disinteressato. Quanto è attuale l’insegnamento evangelico: “Non c’è amore più grande che dare le vita per i fratelli”.
Per la mia esperienza personale di decenni condivisi con operatori e malati psichici, posso solo manifestare tutta la mia ammirazione per gli operatori e le famiglie dei malati che molto spesso sono chiamate a sacrifici prolungati e ad un isolamento sociale molto doloroso. Probabilmente anche la comunità cristiana può fare ancora qualche passo in aiuto dei fratelli colpiti dal disagio psichico e delle loro famiglie con quella vicinanza e partecipazione che i fratelli dovrebbero condividere con i fratelli meno fortunati nel nome di Gesù che andava incontro ai malati e li guariva. Certo anche la società e la politica dovrebbero fare molto di più, ma l’amore non si traduce mai in leggi o in decreti, ma è qualche cosa che sgorga dal cuore e irrora quanti stanno attorno. È quanto dobbiamo fare nei confronti degli operatori della salute mentale e dei malati: il mio Fondatore S. Giovanni di Dio, dichiarato malato di mente e poi guarito, aveva dimostrato che l’amore cura, guarisce, e salva. E allora somministriamo il farmaco dell’amore verso tutte le persone che curano e si prendono cura dei nostri fratelli e delle loro famiglie che cercano un rifugio nella nostra solidarietà umana e cristiana.