Quando muore un clown
Il camice e il naso ci permettono di avvicinare le persone, di entrare in relazione con il loro dolore, condividerlo e se possibile alleviarlo per un attimo
Nei giorni scorsi, all’interno del tragico racconto della battaglia che si sta combattendo ad Aleppo, ha trovato posto anche la notizia della morte di Anas al-Basha, 24 anni, che faceva parte dell’associazione “Space for Hope” e che si travestiva da pagliaccio, a fianco dei bambini siriani, per cercare di alleviare le loro sofferenze. Era, questa giovane vittima, uno dei tanti interpreti della clownterapia, una forma di terapia basata sull’empatia, sull’amore, sull’ascolto e sulla sospensione del giudizio attraverso la gestione di dinamiche relazionali ben definite. Una terapia che, nata nelle corsie degli ospedali, ha poi attecchito in tutte quelle circostante e in tutte quelle situazioni in cui si sono bambini che soffrono, che sperimentano la paura. L’ironia, i piccoli giochi di clownerie, piuttosto che l’uso di palloncini, per il clown dottore sono solo un mezzo (e non un fine) per entrare in relazione con la persona. Per fare questo i volontari sono accuratamente formati ad “entrare” in relazione con i pazienti delle strutture dove operano. Probabilmente è stato così anche per il giovane Anas el_Basha; sapeva in quale contesto avrebbe dovuto portare il suo conforto, il suo sorriso, la sua capacità di speranza. Quella di Aleppo è una realtà sicuramente difficile, un mondo in cui le bombe hanno strappato il sorriso dai volti di tanti bambini. Con loro serviva e serve una vicinanza tutta particolare, non invadente. Con quello stile in cui da molte settimane con tanti altri mediciclown cerchiamo di restare al fianco delle popolazioni colpite dal terremoto nell’Italia Centrale. Dopo la naturale diffidenza, la popolazione ha cominciato ad apprezzare il nostro lavoro, chiedendoci di continuare il nostro progetto, e di non abbandonarli in questo momento così duro.
Può sembrare difficile collocare la figura del clown in uno scenario così tragico: ma il camice e il naso ci permettono di avvicinare le persone, di entrare in relazione con il loro dolore, condividerlo e se possibile alleviarlo per un attimo, anche solo tendendo loro una mano, donando un sorriso ed un abbraccio, che spesso è tutto ciò di cui hanno bisogno. Si tratta di una sorta di missione che consente di mettere in atto i benefici della clownterapia, con lo scopo di rispondere ai bisogni dei più piccoli, per aiutarli ad elaborare il trauma che hanno vissuto, anche quando questo chiede di pagare anche di persona il conto di questo impegno.