Qual è il valore della vita?
Maternità surrogata, gestazione per altri, utero in affitto, maternità solidale... Sono modi differenti per definire la stessa pratica. Utilizzare un termine piuttosto che un altro significa trasmettere un messaggio. Nelle ultime settimane è diventato prepotentemente un argomento politico ma non nel senso più nobile. Forse il termine più appropriato sarebbe partitico. Ci si divide tra destra e sinistra, anche se alcuni esponenti del Partito Democratico non condividono i silenzi e le ambiguità della segretaria Schlein. Purtroppo, come spesso accade, il pregiudizio dettato dall’appartenenza supera ogni forma di comprensione. Su questo argomento la politica dovrebbe avere una visione d’insieme. Cosa c’è in gioco? Di fondo c’è una concezione sbagliata della vita. Sgomberiamo il campo da alcuni equivoci di fondo. Alla maternità surrogata ricorrono sia le coppie eterosessuali (in maggioranza) sia quelle omosessuali. Non è quindi una questione da ascrivere solo alla comunità Lgbt+. E non è una questione confessionale. Qualcuno si offende se paragoniamo questo processo a un mercato. Come potremmo definire la selezione a tavolino della mamma che offre il proprio corpo? E che poi per contratto sa che deve sbarazzarsene? Non a caso vengono scelte madri indigenti che hanno già più figli e che quindi non dovrebbero affezionarsi troppo al nascituro. Va da sé che tutto ciò non tiene in considerazione il rapporto intimo che si crea tra madre e figlio fin dai primi battiti. Per chiedere di normare la situazione vengono inseriti motivi di propaganda e usati slogan che non guardano alla tutela della dignità della persona. Viene risvegliata anche la componente emotiva: garantire a tutti, anche a chi non può per motivi di salute, la possibilità di accedere. I figli, come ha spiegato la Cei in una nota, non “possono essere considerati un prodotto o l’oggetto di un pur comprensibile desiderio”. Oggi la maternità surrogata in Italia è vietata.
Oggi normalmente si distinguono due versioni di Gpa: commerciale e altruistica. Esiste un contratto, che vincola la gestante a tutta una serie di obblighi (stile di vita salubre, accertamenti medici, assistenza psicologica), limitandone la libertà, per non parlare della privacy. In alcuni casi i contratti prevedono che la stessa decisione di abortire o non abortire (quando siano consigliabili interventi di “riduzione embrionale”) non sia pienamente nella disponibilità della donna, tenuta a risarcire i genitori intenzionali in caso di scelte a loro sgradite. In caso di ripensamento, l’ultima parola spetta ai giudici e, in attesa del loro pronunciamento, il bambino viene affidato alle cure dei genitori intenzionali. Come afferma Monica Ricci Sargentini, giornalista, impegnata da tempo con la rete Women’s Declaration International delle femministe radicali, “queste donne sono vite in prestito, altro che autodeterminazione o ‘maternità solidale’: danno via tutti i loro diritti, anche il loro corpo è al servizio di chi le paga. Spesso le madri surrogate sono madri surrogate seriali: da una parte sono spinte a rifarlo ancora, perché se l’hai già fatto hai più probabilità di successo e sei pagata di più, dall’altra invece più lo fai e più tale pratica diventa pericolosa. La pratica della maternità surrogata è una compravendita, per accorgersene basta consultare i cataloghi delle agenzie. In Italia la pratica dell’utero in affitto è vietata, ma tale divieto viene aggirato perché le coppie vanno all’estero e tornano con il bambino in braccio”. Nel frattempo è iniziato l’iter parlamentare della proposta di legge che intende dichiarare la maternità surrogata un reato universale. I Vescovi italiani, tramite il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, hanno definito “inaccettabile” la pratica dell’utero in affitto, perché rappresenta una mercificazione della donna e del nascituro, come ha più volte denunciato anche Papa Francesco.
(Foto ANSA/SIR)
