Putin, l’Armenia, la Georgia e noi
Forse è vero, come dice il vescovo Giuseppe Pasotto amministratore apostolico del Caucaso, che il pellegrino, a differenza del turista, è colui che coglie in una terra qualcosa di non visibile e di più profondo rispetto a ciò che appare
Forse è vero, come dice il vescovo Giuseppe Pasotto amministratore apostolico del Caucaso, che il pellegrino, a differenza del turista, è colui che coglie in una terra qualcosa di non visibile e di più profondo rispetto a ciò che appare. Se così è, il pellegrinaggio di 80 bresciani con il vescovo Pierantonio in Armenia e Georgia ha molto da raccontare. Parla di storia, cultura e delle comuni radici cristiane. Parla di gente fiera, di una sofferenza che ha varcato i secoli e che in Armenia ha conosciuto la violenza del genocidio. Parla di un’identità mai annientata e che, in modo diverso, trova nel cristianesimo la sua fonte comune. Parla di una bellezza inattesa che, soprattutto in Georgia, incanta. Così raccontano le immagini che abbiamo raccolto. Così diranno le parole che avremo modo di lasciarvi in altre pagine. Un viaggio in cerca dell’anima di due popoli che non può non incrociarsi, però, con l’attualità italiana. La vita di due delle ex repubbliche sovietiche provoca domande soprattutto nei giorni in cui i giornali italiani sono concentrati sulle “relazioni pericolose” tra l’Italia, la Russia, i nostri politici e quel Putin che nel Caucaso si atteggia a “zar” di un impero che non smette di esercitare attraverso un’influenza costante e pervicace. A vederla dall’Italia “la questione russa” con il suo cinico gioco politico sembra non ci tocchi. O forse sì a causa di quelle sanzioni che l’Europa ha imposto per la violazione del diritto internazionale in Ucraina e che oggi servirebbero solo a danneggiare la nostra economia e il nostro export. A questo aggiungiamo la cronaca dei presunti finanziamenti girati alla Lega e una strutturale debolezza dell’Unione europea in politica estera. Ma se guardando da Roma (o da Brescia) questa è la questione, da Yerevan e da Tbilisi il punto di vista cambia e intreccia la stessa possibilità di permanere nella democrazia da parte di queste nazioni. Da lì è molto chiaro il danno che l’Armenia ha subito in settant’anni di sovietizzazione. La povertà è ancora troppo evidente. Gli stipendi medi bassissimi e la vita sembrano scorrere in modo accettabile solo nella grande città.
Alle grandi aree dismesse di quello che fu il polo chimico dell’Unione sovietica fa da contrappunto l’indigenza delle aree rurali. Solo da un lato la forza della fede, che nei monasteri ha lasciato una traccia indelebile di bellezza sobria e solenne, e dall’altro la gioia dei bambini davanti alle fontane danzanti di Piazza della Repubblica fanno intravedere la tenacia di un popolo che vuole costruire il suo futuro. Questa Armenia che è passata attraverso il genocidio di 1 milione e mezzo di persone perpetrato dai giovani turchi all’inizio del ’900 sogna ancora di riavere nel suo territorio quel monte Ararat che la Turchia ostile le nega. Sullo sfondo si staglia l’ombra della “madre Russia” di Putin che, alleata di Erdogan, tira i fili della storia e a comando accende la miccia del Nagorno Karabakh per mantenere alto lo stato di tensione anche con l’islamico Azerbaigian. Anche in Georgia è molto chiaro che la vita democratica si regge su un equilibrio precario. Qui l’invadenza di Putin prende il nome di “Ossezia del sud” e racconta di un’invasione silente dei russi nei territori georgiani. La guerra del 2008 ha provocato 350mila profughi georgiani costretti a lasciare una parte del loro paese per andare altrove. Fu Putin a giustificare l’intervento armato per difendere la minoranza russa (3% della popolazione). Cosa diremmo se la Svizzera invadesse un pezzo di Lombardia per proteggere gli elvetici che abitano da noi creando, addirittura, uno Stato nello Stato in cui gli italiani non possono più entrare? Diremmo che è assurdo. Ma in Georgia questo sta accadendo. Le proteste che in Occidente non arrivano, chiedono all’Europa di non abbassare la guardia sui diritti di questi popoli. L’hanno chiesto anche a noi. E se il turista si riempie solo gli occhi di ciò che appare, il pellegrino che s’interroga, ricerca l’anima di un popolo e lo porta ad intuire come Dio conduce ogni storia. Oggi questa è la storia dell’Armenia e della Georgia, terre bellissime, che forse meritano un futuro migliore.