Periferie: prendersi cura delle ferite
Chi non vive la periferia fa fatica a capire come ogni intervento pubblico, anche quello della forza, sia un bene. Ovviamente mi riferisco al decreto legge Caivano che contiene misure che inaspriscono, alcuni casi in maniera pericolosamente esagerata, norme che riguardano i minori, nel tentativo di far fronte al fenomeno delle cosiddette “baby gang”.
Non ho nessun problema verso l’uso più inasprito delle forze pubbliche: a San Polo abbiamo avuto per mesi le pattuglie delle Forze dell’ordine che facevano la ronda nei nostri oratori, a causa di problemi simili a Caivano, anche se molto più ridotti. E ne sono grato, perché ha tolto la paura soprattutto in molti adulti. Da qui a dire che i problemi così sono risolti ce ne passa (e anche le Forze dell’ordine conoscono bene e condividono questa verità). Alle periferie manca sempre un pezzo, che non decide il Governo o qualcuno da esterno: prendersi cura delle proprie ferite per voler guarire. A volte ci manca la testa per pensare cose nuove; a volte ci manca il cuore per sentire il dolore degli altri, anche dei più giovani; a volte ci mancano i muscoli per dare più forza e costanza alle azioni educative esistenti. Ecco perché le periferie devono interessare a tutti: se si trova una soluzione nuova qui è un passo in avanti per tutti, ovunque.