Pensare la pace, costruire la pace
A 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, la terza edizione del Festival della Pace diventa l’occasione per riflettere sull'Europa e, più in generale, sul mondo contemporaneo
Brescia e la pace. La terza edizione del Festival, dal 15 al 30 novembre, ha il merito di riportare al centro, attraverso diversi linguaggi espressivi (incontri, mostre, spettacoli...), la pace. A 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, la manifestazione diventa l’occasione per riflettere sull’Europa e, più in generale, sul mondo contemporaneo. Sono mutati gli equilibri internazionali, ma non è stata superata la logica della contrapposizione e dello scontro tra potenze. Valori universali come giustizia, solidarietà e cooperazione sono messi in discussione da ondate di intolleranza, xenofobia e rigurgiti nazi-fascisti.
Viviamo, inoltre, in una società sempre più conflittuale. Brescia è anche la città di Paolo VI, che alla pace ha dedicato l’istituzione di una Giornata mondiale e soprattutto molteplici parole cariche di significato. Indimenticabile il “Mai più la guerra” del 4 ottobre del 1965 alle Nazioni Unite. Sappiamo bene, però, che oggi la guerra, apparentemente lontana dalla nostra quotidianità, coinvolge e semina il terrore in 69 Stati. Del resto nella Populorum Progressio spiega che “le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e discordie, e mettono in pericolo la pace”. Ma la “la pace – come annotava sempre Paolo VI – non si riduce a un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze”. Non basta un Festival a rispolverare quella cultura di pace che ha contraddistinto il nostro territorio e le nostre comunità.
Sono tante le associazioni (Pax Christi, Acli, Azione Cattolica, Movimento Nonviolento…) che si sono impegnate per la promozione della pace e hanno tenuto alta l’attenzione. Nel terzo millennio è venuto un po’ meno l’impegno diretto delle parrocchie. Spesso la pace, al di à di qualche sporadica iniziativa nel mese di gennaio, viene messa in secondo piano. Non risulta prioritaria. Non a caso il vescovo Pierantonio ha in animo di chiedere alle comunità cristiane di riprendere in mano la questione, con il coinvolgimento della Commissione Giustizia e Pace, favorendo la nascita di nuovi percorsi. Educare alla pace significa essere testimoni autentici del dialogo e del confronto sul lavoro, nelle nostre associazioni e nelle nostre comunità, partendo dai rapporti interpersonali, senza perdere di vista le questioni più generali, come i modelli di sviluppo, la distribuzione delle risorse e la gestione del potere.
La mancanza dei diritti e le stridenti disuguaglianze rendono spesso privo di senso il solo pronunciamento della parola “pace”. Va anche detto che la Diocesi è in pianta stabile nel direttivo di Opal, l’Osservatorio Permanente Sulle Armi Leggere, che, attraverso dati, numeri e ricerche, ci ricorda, giorno dopo giorno quanto la diffusione delle armi italiane e bresciane infiammi i conflitti. Dobbiamo, probabilmente, ripartire anche dai più piccoli. “Come possono finire le guerre nel mondo, se noi non siamo capaci di superare le nostre piccole incomprensioni e i nostri litigi? I nostri atti di dialogo, di perdono, di riconciliazione, sono ‘mattoni’ che servono a costruire l’edificio della pace”. È la raccomandazione che, nel maggio 2015, Papa Francesco rivolse ai circa 7.000 bambini delle elementari presenti all’incontro nell’Aula Paolo VI organizzato dalla Fabbrica della Pace. E il Festival offre anche un viaggio nel cuore dei diritti in occasione del trentennale della Convenzione Onu sui Diritti dell’infanzia approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.