Pavoni: il prete che i giovani li amava davvero
Un’eredità che provoca e interpella anche oggi. Chi sono, ad esempio, i giovani che siamo chiamati oggi ad amare ed educare? Come si qualifica oggi una Chiesa che ama i giovani davvero, come fece il Pavoni? Leggi l'editoriale del numero 19 di "Voce"
Il beato Lodovico Pavoni, sacerdote bresciano vissuto tra la fine del 1700 e la prima metà dell’800, sarà santo presumibilmente il prossimo autunno. Catechista per i ragazzi più poveri, segretario del Vescovo di Brescia, ha sempre curato la vita dell’oratorio, ma solo nel 1818 fonda il “Pio Istituto S. Barnaba”, per giovani poveri o abbandonati.
Il suo metodo educativo si basa sulla creazione di scuole professionali e sull’apostolato attraverso i mezzi di comunicazione e anticipa di almeno 50 anni la Rerum novarum. Di fatto il Pavoni precorre di vari decenni le iniziative di don Bosco, con notevoli risonanze a vasto raggio. Don Bosco stesso potrebbe anche aver avuto tra le mani qualcuno dei regolamenti redatti dall’educatore bresciano e sulla tipografia del Pavoni lo stesso Rosmini, in una lettera del dicembre 1853, richiamava l’attenzione del fondatore dei salesiani suggerendogli un’analoga iniziativa.
Dopo Pavoni, Brescia conobbe la passione educativa di altri santi e sante come il Piamarta, Tadini, la Cocchetti. Di tutti Pavoni fu precursore nella finalità dell’agire (educare buoni cristiani e onesti cittadini), nel metodo (la pedagogia preventiva) e nella donazione totale di sé. Morì durante le X Giornate, nel 1849, dopo aver salvato alcuni dei suoi ragazzi, mentre si trovava a Saiano.
Di tutto questo i suoi figli spirituali, la città di Brescia, la diocesi, e ora l’intera Chiesa universale, sono eredi. Un’eredità che provoca e interpella anche oggi. Chi sono, ad esempio, i giovani che siamo chiamati oggi ad amare ed educare? Come si qualifica oggi una Chiesa che ama i giovani davvero, come fece il Pavoni? Con quali persone, progetti, spazi, risorse pastorali ed educative agisce?
Anche a Brescia abbiamo fatto, in anni recenti, scelte che hanno trasformato la catechesi, l’oratorio, il nostro stile nello stare in mezzo ai ragazzi. Questa prossimità educativa, non è per noi un’iniziativa come tante è un modo di essere Chiesa; l’oratorio, ad esempio, non è una moda giovanilista passegera, viene da lontano, ci differenzia da altre Chiese, è parte del nostro dna, è comune patrimonio ecclesiale da cui è difficile prescindere senza rischiare di non essere più riconoscibili dalle nostre comunità.
Le consegne del beato Pavoni ci hanno segnato più di quanto pensiamo e ancora ci spronano a non battere in ritirata. Ci preservano dalla tentazione di crogiolarci nell’idea di una chiesa per pochi eletti. Ci invitano ad essere chiesa di popolo. Anche stavolta lo Spirito Santo, con questa canonizzazione, pare abbia qualcosa da suggerirci.