“Passione triste” libera per legge?
Il Canada legalizza la marijuana per uso ricreativo. Una scelta che ha suscitato le riflessioni e le domande vescovo Monari
Ancora un passo avanti verso il regno della libertà? Con tutta probabilità dall’estate del 2018 in Canada, diventerà legale la marijuana, non solo per uso terapeutico, ma per uso ricreativo. Il presidente Justin Trudeau ha annunciato la proposta di legge. Si allargano così le possibilità di piacere: oltre al vino, al fumo, al gioco, ci si potrà anche fare una canna in santa pace, senza essere perseguitati e senza sentirsi in colpa. Lo Stato benevolo guarda con simpatia e comprensione questo bisogno di evadere dalle catene della noiosa vita quotidiana e permetterà ai suoi cittadini di gustare anche questo sollievo. La televisione italiana, dando il lieto annuncio, plaude ed enumera diligentemente tutti i vantaggi che ci si ripromettono con questa decisione. Il primo, naturalmente, è la felicità delle persone che aumenterà decisamente. Ma accanto a questo, se ne presentano alcuni altri da non disprezzare: verrà spezzato un commercio criminale e diminuirà drasticamente il guadagno delle cosche mafiose che controllano lo spaccio della droga. Meno occasioni di guadagni illeciti, quindi meno criminali, quindi maggiore sicurezza per tutti. Vita più tranquilla nelle nostre citta.
Sarà lo Stato, invece delle cosche mafiose, a fruire di un introito notevole. Le tasse sulla produzione e lo smercio di marijuana rimpingueranno le casse dell’erario e permetteranno di provvedere ad altre necessità dei cittadini (cure per la salute, per le dipendenze, per il benessere).
Si dà la stura a una nuova produzione industriale che si presenta come particolarmente promettente; quindi nuovi posti di lavoro, preziosissimi in questi chiari di luna. Chissà che non si riesca, in questo modo, ad aumentare il volume del commercio interno che è considerato basso.
Con motivazioni così numerose e così forti si potrà disprezzare l’opposizione di chi avanza obiezioni morali che non possono appellarsi a nessuna motivazione razionale. Il consenso che si raccoglierà attorno a questo provvedimento – e del quale la televisione ci ha opportunamente offerto uno scampolo in alcune brevi interviste – sarà la conferma della saggezza di questa decisione che viene già troppo tardi.
Come contrapporsi a un così luminoso futuro? Saremo più felici! Se la felicità è davvero il fine ultimo delle azioni umane, come tutti i filosofi ci assicurano da Aristotele in poi, dobbiamo dire che anche questo passo si iscrive in una logica di progresso che sarebbe stolto e anche impossibile contrastare.
Sarà; ma siccome è moderno dubitare di tutto, allora: vedo! Voglio vedere se hai davvero in mano delle buone carte o se stai bluffando. Qualche perplessità sorge dalle motivazioni che Trudeau ha avanzato per la sua proposta: “Troppo facile per i nostri ragazzi acquistare marijuana. Cambieremo la situazione.” Ecco dunque il ragionamento: anche nel regime attuale di proibizione, non riusciamo a impedire ai ragazzi di procurarsi la marijuana. Se la marijuana è illegale, le modalità per procurarsela diventano difficili, mettono i ragazzi in contatto col mondo della criminalità e questo è un fatto preoccupante. Soluzione: rendiamo legale la marijuana. Più che una decisione in vista del bene comune sembra una resa al nemico, senza nemmeno l’onore delle armi. In linea di principio, non si vorrebbe legiferare in questo modo, ma si è costretti dall’impossibilità di proibire efficacemente. L’ex ministro della salute, che ha preparato il testo della proposta, nota: il cervello umano continua a svilupparsi fino ai 25 anni; sarebbe allora bene fissare a 21 anni il limite di consumo legale di marijuana; ma siccome questa soglia sembra troppo alta per togliere alla criminalità organizzata il mercato, allora fissiamo il limite a 18 anni; in questo modo, alla criminalità resterà solo lo spaccio rivolto ai minori di 18 anni. Ci rimetterà un po’ il cervello dei Canadesi, ma possiamo sperare che il danno sia contenuto. Il ragionamento è degno di attenzione perché allarga il discorso della limitazione del danno, che si usa per il trattamento dei tossicodipendenti, al modo di legiferare dell’intera società. Possiamo dirlo in modo schietto? “Siamo una società tossicodipendente; possiamo solo cercare di limitare il danno.”
Saremo più felici? Beh, forse possiamo accordarci su un’espressione meno impegnativa: saremo meno infelici. Non è la persona felice che ricorre alla droga per diventare più felice; chi sogna la droga sogna un paradiso perché si trova nell’inferno, o perlomeno nel purgatorio. Lungi da me disprezzare il sollievo dell’angoscia che si può indurre con farmaci; ma forse è meglio chiamarlo col suo nome, riconoscerlo come un modo per non sentire l’infelicità. Cioè: il ricorso alla canna è una confessione implicita della nostra infelicità congiunturale (sono in un momento difficile, che fatico a sopportare) o strutturale (ogni piacere presuppone un dispiacere da eliminare e la condizione umana è una condizione di miseria permanente, che non ha cura). Il diffondersi dei mezzi di consolazione (chimici o fisici o psicologici o sociali) testimonia che il tasso d’infelicità è alto e che paradossalmente, col diffondersi della tecnologia del piacere, sembra crescere.
Perlomeno, il commercio clandestino della marijuana sparirà. Sarebbe utile sapere quale sia la percentuale di guadagno dovuta alla marijuana nel totale del commercio delle droghe, ma in ogni modo il commercio della cannabis sarà destinato all’estinzione. È una buona notizia, ma con qualche distinguo. Anzitutto il commercio legale aumenterà il livello del consumo; si calcola che i consumatori di cannabis diventeranno in Canada un milione in più di quelli attuali. Secondo: è davvero una motivazione intelligente legalizzare ciò che è reato per non permette ai criminali di lucrare clandestinamente sul reato stesso? Terzo: siamo sicuri che l’aumento dell’uso di marijuana non provochi col tempo sazietà e quindi ricerca di emozioni più forti e quindi finisca per aumentare la diffusione delle droghe ‘pesanti’? e se ciò dovesse avvenire, legalizzeremo anche le altre droghe?
Aumento degli introiti dello Stato. Si capisce che possa sembrare una manna, nel contesto dei bilanci statali così tribolati. Ma davvero lo Stato ci guadagnerà? Ci guadagna oggi sul fumo? O i guadagni maturati con le tasse vengono bruciati dalle spese che lo Stato deve sostenere per curare le malattie che vengono dal fumo? Se tutti gli Italiani smettessero di fumare, il bilancio statale ci guadagnerebbe o ci rimetterebbe? Dall’impegno che lo Stato mette nel combattere il fumo, verrebbe da sospettare che un gran guadagno non ci sia. Ma per valutare correttamente, bisognerebbe avere cifre precise.
Aumento della produzione industriale indotto dalla produzione di cannabis. In realtà, con l’uso della marijuana una fetta del reddito nazionale viene dedicata a soddisfare il desiderio di alcuni. Che non si possa avere nello stesso tempo la botte piena e la moglie ubriaca, è saggezza antica; se una quota della ricchezza prodotta viene destinata alla soddisfazione individuale vuol dire che non viene messa in circolo per il benessere sociale – scelta possibile, come dicevo, ma che dev’essere saputa e riconosciuta come tale, per onestà (e per avere chiaro dove stiamo andando); sarà poi bene non lamentarsi troppo del fatto che mancano soldi per la sanità, per l’istruzione, per la ricerca, per i musei. La felicità artificiale, quale che essa sia, ha un costo. Se si scelgono alcune forme di piacere bisogna rinunciare necessariamente ad altri servizi. Forse la fisionomia di una società si può delineare proprio a partire dagli obiettivi che essa mette al primo posto. Abbiamo sempre pensato che la società in quanto tale dovesse occuparsi dei bisogni essenziali delle persone, appunto: salute, istruzione, giustizia, lavoro… Una società orientata a garantire il piacere dei singoli è una scoperta contemporanea: un passo avanti? Certo! C’è solo da verificare se sia un passo avanti verso la felicità o verso l’oblio.
Vale la pena aggiungere un’ultima considerazione. Qualche anno fa alcuni sociologi hanno parlato di ‘passioni tristi’ che sarebbero caratteristiche della nostra società. Ebbene, il bisogno di marijuana nasce da una tristezza generalmente non riconosciuta nelle sue cause e quindi non affrontata. Si possono certo proporre dei rimedi sintomatici, ma sarebbe cosa più giusta andare alla ricerca delle cause che provocano questa tristezza. Siamo o non siamo delle persone ‘illuminate’, che hanno gioiosamente superato l’oscurantismo di secoli passati? Perché allora deviare l’attenzione dalla ricerca di guarigione alle cure palliative? O non c’è davvero più speranza?