Parliamo di dati, non di previsioni
“Aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro un vita degna mediante il lavoro. Il lavoro è la porta della dignità”. Così si è espresso il Papa durante l’udienza ai partecipanti al convegno della Fondazione Centesimus Annus. “Senza un impegno di tutti per far crescere politiche lavorative per i più fragili, si favorisce una cultura mondiale dello scarto”. Come affermava nella Fratelli Tutti, aumentando, senza equità, la ricchezza, nascono solo nuove povertà. Il Rapporto della Caritas su povertà ed esclusione sociale in Italia è stato intitolato “L’anello debole”. E non ammette fraintendimenti. Oggi, se si nasce in una famiglia povera, occorrono 5 generazioni per salire la scala sociale (la media Ocse è di 4,5 anni). Viene chiamata “povertà intergenerazionale” o “ereditaria”. I “pavimenti e soffitti appiccicosi” impediscono ai giovani di riscattarsi da situazioni sociali difficili. Sei assistiti Caritas su 10 risultano “poveri intergenerazionali”: sono rimasti intrappolati nei “pavimenti appiccicosi”. Tra i nati da genitori senza alcun titolo, quasi 1 su 3 si è fermato alla sola licenza elementare. Con 5,6 milioni di poveri assoluti (il 9,4% della popolazione, pari a 1 milione 960mila famiglie), di cui 1,4 milioni bambini (fonte Istat), l’Italia risulta l’ultima tra i Paesi industrializzati per mobilità sociale ed educativa: solo l’8% dei giovani con genitori senza titolo superiore ottiene un diploma universitario (la media Ocse è del 22%). Al contrario, la percentuale sale al 65% per i figli dei laureati (dati Ocse). Per i nati in famiglie poste in fondo alla scala sociale diminuiscono le possibilità di salirne i gradini: il 28,9% resterà nella stessa posizione sociale dei genitori. L’Italia ha in Europa anche il triste primato dei Neet (Not engaged in education, employment or training): 3 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni, pari al 25,1% del totale, che non studiano né lavorano.
Nella sua analisi, il presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi, ha sottolineato che “non parliamo di previsioni, di ipotesi, ma di dati. Qualche volta abbiamo una sorta di rimozione immediata per cui ascoltiamo alcuni dati e pensiamo ‘ma poi alla fine non è proprio così’, oppure ‘è così, va bene’, ma poi continuiamo come prima”. Invece, “il Rapporto non ci può far continuare come prima. È come se a me dicessero: ‘Guarda, tu hai i valori sballati’, allora devi andare dal medico e ti fai curare. Questi valori sono sballati, perché vedere che quasi sei milioni di persone sono in povertà assoluta è un valore sballato nell’organismo del Paese, che richiede dei cambiamenti, delle terapie, delle scelte, perché se continuiamo ad avere un dato così tutto l’organismo si ammala. Non è un problema di quelle persone per cui cerchiamo di fare qualche cosa, è anche una difesa di tutto l’organismo. La ‘Fratelli tutti’ e anche la consapevolezza del Covid ci aiutano a capire che non va bene accettare che ci sia un numero così alto di poveri”. Certo, ha aggiunto, “è vero che la crisi energetica e quindi tutti gli aumenti dei costi e l’inflazione accentueranno queste condizioni di povertà estrema, ma a maggior ragione dobbiamo essere ancora più fermi nell’indicare le soluzioni, anche nell’emergenza”. Non basta la risposta del reddito di cittadinanza che non intercetta tutte le persone che ne hanno veramente bisogno. La misura è stata finora percepita da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%): “sarebbe opportuno - rivela Caritas - assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti. Accanto alla componente economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale”.