Parità scolastica: serve una soluzione nazionale
Alcuni appuntamenti che si stanno svolgendo in questi giorni di campagna elettorale, registrano opportunamente incontri che fanno il punto sul tema della parità scolastica nel nostro Paese in relazione ai programmi elettorali. È evidente che l’interesse e le soluzioni devono riguardare tutta la scuola italiana, certamente quella statale ma non di meno anche quella paritaria no-profit.
La Legge 62 del 2000, di cui quest’anno sono ricorsi ben 22 anni, infatti, ha certamente contribuito a riconoscere il ruolo pubblico svolto dalle scuole paritarie, che vedono una rilevante prevalenza di scuole dell’infanzia (come noto anche a Brescia, associate alla FISM), ma solo in parte minima ha affrontato la parità economica, donde la definizione di riforma incompiuta, coniata dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione, on. prof. Luigi Berlinguer. Problema oggi aggravato dal permanere di difficoltà e squilibri economici che continuano a colpire non poche famiglie … e l’utenza delle scuole dell’infanzia FISM è largamente popolare, il che non consente di incrementare ulteriormente le rette a loro carico; dal forte calo demografico; dalla sempre maggiore complessità gestionale richiesta alle scuole, con i connessi oneri aggiuntivi, accompagnata dalla notevole difficoltà nel reperire personale docente con i titoli richiesti dalla legislazione vigente, per inadeguata programmazione a livello universitario nel rapporto laureati in Scienze della formazione primaria e fabbisogno, cui va aggiunta la volontà di procedere con un’ulteriore espansione della scuola dell’infanzia statale dove, da decenni, c’è quella paritaria, quindi in contrasto con la normativa e con le dinamiche in corso, a partire dalla proiezione che nei prossimi dieci anni nel nostro Paese alunni e studenti diminuiranno di 1 milione e 400 mila unità, come ha recentissimamente sottolineato il Ministro.
Di conseguenza, ciò che oggi non è più rinviabile, è un impegno fattivo di Governo, Parlamento e forze politiche, per concorrere a realizzare, finalmente, un dinamico Sistema nazionale di istruzione, costituito da scuole autonome statali e paritarie, in linea con le indicazioni dell’Unione Europea e di quanto avviene nei Paesi più avanzati della stessa Unione.
Quindi, che si entri nel merito e nella concretezza, anche della parità economica, allineando la posizione del nostro Paese a quello della quasi totalità degli Stati dell’Unione (attualmente siamo fanalino di coda con Grecia e Romania).
Diversamente, poiché un numero rilevante di scuole dell’infanzia paritarie FISM a livello nazionale stanno vivendo un periodo assai difficile e decisivo relativamente alla possibilità, o meno, di poter continuare il loro servizio, accadrà che il Sistema nazionale di istruzione inevitabilmente si ridurrà a un sistema unico, quello delle sole scuole statali, con alcune presenze di scuole paritarie consentite solo alle famiglie che possono permettersele, e con ripercussioni negative – esplicitamente chiusure – anche tra i 2.300 servizi educativi (0-3) presso le scuole FISM (che attualmente sono 6.700). Il risultato, se le scuole FISM fossero costrette a cessare in massa la loro presenza, è che intere comunità verrebbero sguarnite di un importante avamposto educativo, di aggregazione e promozione umana e sociale, di una presenza rappresentativa di una grande tradizione pedagogica, capace di continua innovazione e di traduzioni in buone prassi sul campo: in sintesi un impoverimento di inclusione e coesione sociale.
Un esito di questo genere renderebbe, il nostro Paese più libero, più democratico, più progressista, più europeo? È possibile ignorare che un sostegno economico adeguato sia elemento irrinunciabile della parità, se si vuole garantire a tutti una vera possibilità di scelta? L’inserimento delle scuole paritarie nel Sistema nazionale di istruzione, in forza del servizio pubblico svolto, deve comportare equità nell’accesso al sistema, non solo per gli alunni, ma anche per il personale. Un profilo, quest’ultimo, che continua ad essere troppo trascurato. Eppure è fin troppo ovvio che ogni scuola ha costi “fissi”, tra i quali quello per le retribuzioni rappresenta la parte più consistente.
L’obiettivo, dunque, è un finanziamento idoneo (ovviamente finalizzato e da rendicontare da parte delle scuole), in modo da non comportare per le famiglie costi diversi da quelli previsti per la frequenza delle scuole dell’infanzia statali.
A tale riguardo, il costo standard di sostenibilità – su cui si è ragionato non poco negli ultimi tempi – è un modello che consente la dovuta trasparenza per un calcolo corretto rispetto all’impiego delle risorse economiche della Repubblica per tutto il Sistema nazionale di istruzione, ovvero è il costo ottimale per lo sviluppo dell’attività educativa per ogni alunno, calcolato assumendo come riferimento la scuola che garantisce tutto ciò che deve ai costi più efficienti nel quadro del fabbisogno standard. Può essere utilizzato, perciò, quale strumento/modalità generale in un processo che intende riformare l’intero Sistema nazionale di istruzione. Calato nel contesto delle scuole FISM, la concretizzazione – poiché il tempo non è una variabile indipendente (anzi!) – la scelta praticabile, da subito, per poter proseguire il servizio, è la stipula di una convenzione diretta tra MIUR e scuole FISM. Una convenzione pluriennale, adeguata nell’entità economica, certa nell’erogazione e nei tempi di accreditamento dei fondi, sulla base del numero di scuole e di sezioni per scuola, con un’attenzione particolare alle monosezioni. Questa è la soluzione concreta, fattibile e sostenibile, è il perno che permette di dare più stabilità alle istituzioni paritarie per l’infanzia, che, va sottolineato, sono no profit.
Inoltre, la convenzione (quella di Brescia è unanimemente riconosciuta l’esperienza in assoluto più avanzata a livello nazionale e potrebbe costituire il modello base a cui riferirsi), dando più garanzie di continuità del servizio al personale che vi opera, sostiene il mantenimento di una qualità alta dell’offerta formativa; qualità alta, già autorevolmente riconosciuta dall’OCSE, che definisce il Sistema nazionale dell’infanzia italiano – plurale, integrato – parametro di eccellenza a livello internazionale.
Infine, probabilmente, non è superfluo ricordare che il finanziamento attuale del MIUR, per le scuole dell’infanzia paritarie, è assegnato sia alle scuole FISM sia alle scuole comunali, in quanto sono anch’esse scuole non statali paritarie ...
Quanto sopra, se veramente si vuol fare dello zero-sei la scelta strategica di attenzione all’infanzia – come chiaramente indicato a livello europeo e dai recenti documenti ministeriali – deve prevedere normativamente, a livello nazionale, una diversa attenzione nei confronti del no-profit da parte delle Amministrazioni comunali. I finanziamenti sinora stanziati dallo Stato per lo zero-tre sono significativi, ma l’eccesso di discrezionalità nell’utilizzo da parte di troppi Comuni, soprattutto non considerando i servizi educativi già operativi, ha reso la situazione più che mai dispari tra i territori, anche tra quelli contigui, con il conseguente risultato di ottenere un esito molto inferiore rispetto a quello potenziale, sia in termini di bambini accolti sia in termini di qualità.
L’auspicio è che i dibattiti che si stanno svolgendo, che riconoscono che il tema della parità scolastica in Italia è da troppo tempo irrisolto, costituiscano le condizioni politiche affinché Parlamento e Governo procedano ad adottare finalmente le necessarie determinazioni.