Opere d'arte. Non è solo un ritorno
Un’opera d’arte collocata nella sua spazialità originaria cessa di essere un mero oggetto artistico e rivela la sua capacità di ridare all’eredità culturale “carne e sangue”, cioè di riscoprire il suo significato nell’oggi delle persone
“Credo che il momento sia giunto: i musei statali compiano un atto di coraggio e restituiscano dipinti alle chiese per i quali furono originariamente creati”. Questa la proposta lanciata dal direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt, nelle scorse settimane a margine della riapertura di Palazzo Pitti a Firenze. Non è la prima volta che Schmidt avanza l’ipotesi. “In tanti musei statali – è la sua testi – si trovano tavole, tele, pale ed altri dipinti ideati e realizzati per chiese o cappelle. E visto che l’Italia si distingue da altri Paesi per la diffusione del patrimonio dei beni culturali su tutto il territorio, una ricongiunzione storica – ove possibile – riporterà valore ad opere d’arte e luoghi”.
La provocazione di Schmidt che si riferiva in particolare a opere “che dalle chiese spesso sono finite nei depositi dei musei, o che nei musei sono state trasportate solo temporaneamente per poi rimanervi senza alcun passaggio di proprietà ufficiale” è stata condivisa a Brescia da Angelo Loda, funzionario della locale Soprintendenza, e riguarda la ricollocazione dei dipinti del “Moretto” nelle loro sedi originali. Da parte dell’Ufficio Diocesano dei Beni Culturali la proposta non può non trovare accoglimento.
Il motivo di fondo è dato dal pensiero comune nell’ambito della storia dell’arte che un’opera riesce a trasmettere tutta la sua potenzialità anche grazie alla “spazialità” originaria. Un dipinto, ad esempio del Moretto, visto in un museo può attrarre per la sua bellezza tecnico-artistica, ma se contemplato nel luogo in cui era stato pensato e voluto, ad esempio, in una chiesa, lo stesso dipinto emana una forza espressiva che lo rende completo per la sua finalità, quella cioè del culto, espressione della fede e della devozione delle persone.
In altre parole un’opera d’arte collocata nella sua spazialità originaria cessa di essere un mero oggetto artistico e rivela la sua capacità di ridare all’eredità culturale “carne e sangue”, cioè di riscoprire il suo significato nell’oggi delle persone.
Naturalmente sarà necessaria prudenza e lungimiranza perché ciò possa avvenire. Infatti non sempre la salvaguardia di un’opera può conciliarsi con un’ingenua ricollocazione nell’ambiente originario, spesso inadatto a causa di agenti ambientali avversi alla tutela dell’opera stessa o ancor più perché chiuso alla possibilità di culto.