Non uccidiamo il volontariato
Qualche giorno fa il presidente di un’associazione nazionale, che si preoccupa dei senza fissa dimora, mi ha confidato di essere stanco: "Sono alcuni mesi che non ho un contatto diretto con le persone che seguiamo e accompagniamo.
Trascorro il mio tempo a compilare documenti, ma senza l’incontro con le persone mi sento perso e inutile nel mio servizio”.
Luigi (il nome è di fantasia) ha esternato il suo grido di aiuto anche ai tanti che collaborano con lui. Purtroppo non è il solo.
Per Luigi, ma non solo per lui, il sostare con chi aveva bisogno è sempre stato anche una straordinaria iniezione di fiducia per affrontare la quotidianità lavorativa e famigliare. Sappiamo che il volontariato fa stare bene.
Purtroppo non è sempre così.
La burocrazia si è infilata anche nell’azione più pura e più genuina: offrire una porzione del proprio tempo agli altri è diventata una corsa a ostacoli. Nel mirino è finito quel volontariato che ci viene invidiato da gran parte dei Paesi occidentali. Nel mirino è finito quel modello nato e sviluppatosi prevalentemente nell’ambito cattolico per quanto riguarda l’educazione e che poi si è diffuso a macchia d’olio nello sport, nella cultura, nell’assistenza…
Basti pensare che ogni piccola comunità può contare su tante associazioni, su molte persone che si spendono per un ideale più grande. Che cosa ne sarebbe del welfare sociale senza i volontari che sopperiscono alle carenze dello Stato?
Ci sono forze politiche che, in vista anche dei prossimi appuntamenti elettorali, sono disposte a revisionare le norme o a snellire le pratiche afferenti al mondo del volontariato?
Parliamo di una realtà composita: i circa 5,5 milioni di volontari italiani rappresentano il lavoro equivalente di circa 585mila dipendenti come spiega bene Riccardo Bonacina, fondatore e direttore editoriale di “Vita”.
Coinvolgiamo sempre di più quelle strutture come il Centro servizi per il volontariato che rappresentano e possono rappresentare, a maggior ragione nella selva legislativa, un valido strumento di supporto. Non sprechiamo quanto di buono abbiamo costruito, anche perché le ricadute sono molteplici. Come afferma Leonardo Becchetti "la gratuità è l’ingrediente chiave della vita sociale, il volontariato è l’espressione oiena della gratuità. È ossigeno della vita, è la forma organizzata e strutturata che permette alle persone di vivere appieno e costruire buone relazioni con gli altri”.
Conosciamo la direzione da intraprendere, anche perché è ormai noto che esistono circoli virtuosi tra la qualità della vita delle relazioni e i risultati economici. Sempre citando Becchetti, “l’economia è generativa quando crea un impatto positivo sulle comunità e alla base della generatività ci sono le buone relazioni che creano fiducia. Ecco perché il volontariato è una componente fondamentale dell’economia civile”. Per economia civile si intende un modo di pensare al sistema economico basato su alcuni principi – come la reciprocità, la gratuità e la fraternità – che superano la supremazia del profitto o del mero scambio strumentale nell’attività economica e finanziaria. Secondo Luigino Bruni l’economia civile consente all’economia di riappropriarsi di una dimensione tipica dell’umano: la sua apertura al dono, alla gratuità.
Torniamo quindi al punto di partenza della nostra riflessione. Il grido di aiuto di Luigi va ascoltato e compreso.
Noi cittadini siamo chiamati a svolgere un’azione di pressione sull’agenda politica perché metta a tema il disagio di tanti volontari. Non accontentiamoci
dell’esistente, perché tra qualche anno rischiamo di risvegliarci più poveri e meno felici.