Non si vive di solo digitale
L’utilizzo sempre più intensivo delle nuove tecnologie sta cambiando la nostra vita: si tratta di una deriva inarrestabile che richiede capacità di metabolizzare l’innovazione conservando un certo distacco tra sé e gli strumenti informatici, per non essere assorbiti in meccanismi di dipendenza che ci privino della facoltà di decidere quando e come utilizzarli. Significativo il distinguo del Ministro Valditara che esprimendosi nel merito di una introduzione massiva della didattica digitale e dei suoi derivati in ambito scolastico, con il rischio di una graduale espunzione della cultura tradizionale, ha. usato la felice e sintetica espressione dell’et-et anziché quella drastica e preclusiva dell’aut-aut.
L’auspicio di una convivenza possibile evitando il rifiuto dell’innovazione o la cancellazione della tradizione. La vita stessa, la cultura è sintesi di ‘ratio’ e di ‘traditio’, dovremmo rammentarlo più spesso. Ricordando che il libro e l’apprendimento della letto-scrittura e dei saperi non potranno mai essere espunti dai compiti formativi ed educativi del sistema scolastico. Se la pedagogia comparativa fosse materia obbligatoria di approfondimento per gli indirizzi metodologico-didattici della burocrazia ministeriale e delle scuole dell’autonomia ci accorgeremmo che l’esterofilia- malattia tipicamente italiana – ci porta ad inglobare acriticamente tendenze e stilemi linguistici mutuati da altri sistemi scolastici, trascurando l’enorme bagaglio di esperienze consolidate della nostra migliore tradizione culturale. E’ dei giorni scorsi l’annuncio del Ministro all’Istruzione della Svezia Lotta Edholm del ritorno alle metodologie di apprendimento nella scuola di base: libri, quaderni, penna, scrittura manuale. Una rivincita sui tablet e gli smartphone finora utilizzati in via sperimentale, considerati i deludenti risultati ottenuti sul piano degli apprendimenti. Circostanza peraltro riscontrabile anche in casa nostra: non sono un sostenitore dell’INVALSI e della cultura misurata attraverso i test ma osservo che ogni grado del sistema di istruzione esprime un regresso in termini di competenze, capacità, conoscenze, padroneggiamento dei meccanismi comunicativi verbali e scritti. Assai probabile che anche la Finlandia, che aveva abolito l’uso del corsivo a favore della digitazione faccia marcia indietro: certamente gli indirizzi programmatici e i contenuti di studio dei Paesi più evoluti e di più consolidato know how culturale stanno virando verso un ritorno ai fondamentali che promuovono una formazione solida e affidabile, spendibile come arricchimento personale e declinabile come fattore di promozione sociale e di avviamento ad un’attività lavorativa.
Ora, scorrendo le (attuali) 17 pagine della Piattaforma Scuola Futura del Ministero dell’istruzione e del merito, che propongono (ad oggi) 168 corsi di formazione per i docenti e i dirigenti scolastici con i fondi del PNRR si evince in modo inequivocabile che la scelta dei temi è invece orientata decisamente verso l’aut-aut: eccetto poche eccezioni che si contano sulle dita di una mano tutti i titoli, gli argomenti e gli indirizzi del Piano sono, in modo persino sovrapponibile, duplicabile e ripetitivo, monotematici e digitalizzati, infarciti di neologismi e anglicismi, fondati su una metodologia meccanicistica per cui si presume che con 20 o 30 ore di corso i docenti/discenti ne escano specialisti ed esperti in applicazioni didattiche da realizzare tout court. Molta retorica pedagogica basata su schemi precostituiti da trasferire nel proprio contesto professionale, sia esso l’istituto o la classe.
E’ sorprendente che i fondi assegnati per la formazione degli insegnanti siano spesi per anglicizzare la scuola italiana: nei contenuti, nei metodi, nei linguaggi, a conti fatti il nostro idioma è una sorta di convitato di pietra in un consesso pedagogico dove dominano incontrastati sigle, acronimi, algoritmi, neologismi che peraltro si ritrovano traslati negli impianti didattici e organizzativi delle scuole dell’autonomia, in forma quasi omologante e taumaturgica: “applicate queste formule e risolverete i problemi della complessità delle relazioni scolastiche, faciliterete gli apprendimenti”.
Tutto questo ce lo chiede l’Europa? Sinceramente penso che ne faremmo anche a meno. Nessun corso ispirato alla tradizione scolastica del nostro Paese e della nostra scuola che è stato un riferimento culturale di indiscusso valore, con insegnanti e Dirigenti di assoluto rilievo culturale e professionale. Nessun cenno alla letteratura, all’arte (quella vera, non quella della riproducibilità tecnica e deprivata della sua “aura”, come ricordava Benjamin nel suo celebre saggio), alla musica, alla pittura, alla poesia, alla “bellezza”: non la scuola della creatività ma quella del transfert di meccanismi precostituiti e deprivati del valore del pensiero critico. Non è accettabile una proposta formativa quasi monotematica perché limitativa della libertà di insegnamento che - dottrina e pedagogia ci insegnano - è libertà di metodo. Quasi nessuno riflette sulle conseguenze di questa onda d’urto delle nuove tecnologie e sulla pervasività della digitalizzazione: ricche di potenzialità positive vanno misurate e commisurate con la tradizione culturale ereditata. Di fatto gli insegnanti stanno perdendo a poco a poco il diritto alla libertà di insegnamento, troppo spesso le scuole dell’autonomia risultano in tal senso più coercitive di quanto non lo sia mai stato il Ministero nazionale, su questo si riflette poco ed è una conseguenza irrazionale. Il valore del libro e della lenta metabolizzazione del sapere che il Ministro esalta come aspetto essenziale e imprescindibile di un processo formativo- riguardi esso gli alunni o i docenti – non è sufficientemente menzionato nel Piano finanziato dal PNRR. E se queste sono le premesse la strombazzata “Scuola superiore di formazione” sarà un orpello burocratico farraginoso e forse inutile.
Sono fermamente convinto che la lettura di un capolavoro della letteratura di ogni tempo, cito a mero titolo di esempio le pagine di Kafka, Proust, Dostoevskij, Leopardi, Garcia Marquez, Pirandello sia di gran lunga più utile e suscettibile di positivi sviluppi pedagogici di qualsivoglia corso di formazione on line.
La pedagogia dei non pedagogisti è un tesoro che si scopre leggendo, è “altro” dalle lezioni monotone ed effimere dei medagliati sedicenti specialisti ed esperti.
Foto Siciliani-Gennari/SIR