Non si sceglie il rito
Rito ordinario o rito straordinario? Non c’è da scegliere!
Il 16 luglio Papa Francesco ha promulgato la Lettera Apostolica in forma di Motu «Proprio» «Traditionis Custodes» sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970 con una precisa lettera di spiegazione indirizzata ai vescovi.
Non un capriccio del Santo Padre ma una decisione importante, significativa e chiara per proseguire ancor più nella costante ricerca della comunione ecclesiale.
A quasi 60 anni dalla sua conclusione, sembra che il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica non siano ancora pienamente attuati; Sacrosanctum Concilium afferma che “per conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via ad un legittimo progresso, la revisione delle singole parti della liturgia deve essere sempre preceduta da un'accurata investigazione teologica, storica e pastorale. (SC 23). Ogni riforma per essere autentica ha infatti bisogno di un corretto e costante legame tra “sana tradizione” e “legittimo progresso”, troppo spesso nell’immaginario ideologico contrapposti. La Tradizione diviene quell’energia dinamica capace di trasformare la vita solo se si fonda sul passato e ha il coraggio di aprirsi alla lettura dei segni dei tempi, lasciandosi interpellare: la liturgia presentata dal Concilio è una realtà viva perché accoglie nel tempo e nello spazio della Chiesa, popolo radunato, il Cristo sempre vivente e sempre veniente. Non è possibile, allora, che coesistano due forme parallele del medesimo rito all’interno della stessa Chiesa; Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, ormai abrogato, pensava che “le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda”; l’intenzione era quella di favorire una riconciliazione tra le due anime presenti nella vita della Chiesa; in pratica tale MP ha provocato, purtroppo, divisione e disgregazione all’interno di essa e una sfiducia e una non accoglienza del vento dello Spirito del Concilio. E’ in-utile la scelta. Anzi, sarebbe stra-ordinaria.
Nell’Angelus del 7 marzo 1965 Paolo VI, parlando della riforma liturgica in atto in tutte le parrocchie, mise in luce la novità della “actuosa partecipatio”: “Il bene del popolo esige questa premura da parte della chiesa, sì da rendere possibile la partecipazione attiva dei fedeli al culto pubblico della Chiesa. E’ un sacrificio che la Chiesa ha compiuto della propria lingua, il latino; lingua sacra, grave e bella, estremamente espressiva ed elegante. Ha sacrificato tradizioni di secoli e soprattutto sacrifica l’unità di linguaggio nei vari popoli, in omaggio a questa maggiore universalità, per arrivare a tutti. E questo perché sappiate meglio unirvi alla preghiera della Chiesa, perché sappiate passare da uno stato di semplici spettatori a quello di fedeli partecipanti attivi. Se saprete davvero corrispondere a questa premura della Chiesa, avrete la grande gioia, il merito, la fortuna di un vero rinnovamento spirituale”. Una riflessione sapiente e inclusiva, semplicemente da vivere.
Dal MP e dalle lettera emerge un’altra preoccupazione per i numerosi abusi liturgici e per le esagerate performance in nome della creatività, che sfociano in spettacoli egocentrici ed autoreferenziali di chi presiede. E’ l’altra faccia della medaglia; ci auguriamo o attendiamo un nuovo documento che normi anche queste esagerazioni?
La Terza Edizione del Messale Romano e il recentissimo MP sono occasioni preziose per avviare un cammino di educazione e di formazione liturgica. Abbattendo i pregiudizi ed entrando nello spirito del Vaticano II si scoprirà la bellezza, la potenza e la nobile semplicità dell’ars celebrandi. Un cammino per tutti. E la Riforma continua!