Non si può morire così
È ovvio che “non si può morire così”, come è scritto in alcuni foglietti sul luogo del ritrovamento del corpo senza vita di Thomas, a Pescara. Ancora di più per “una questione di rispetto” legata a pochi euro chiesti da alcuni coetanei, poco meno che adolescenti, per una questione di spaccio (in Italia il 40% degli studenti ha usato droga, il 25% nell’ultimo anno). Non c’è proprio nulla da commentare, come mi hanno detto alcuni animatori in oratorio, perché quanto successo è fuori dalla realtà, nel senso più stretto del termine. È ora di prendere atto che l’irrealtà può esercitare un fascino tremendo sulla vita: l’irrealtà di voler provare a quindici anni quello che si dovrebbe provare a trenta, l’irrealtà delle relazioni intrafamiliari basate solo sull’etichetta dei bravi ragazzi misurata su alcune prestazioni ma non sull’esperienza condivisa, l’irrealtà di processi educativi che non incidono tanto quanto quelli virtuali (i videogiochi in cui si uccide dall’inizio alla fine hanno il potere subdolo di far pensare che, se si uccide, comunque ci sono altre vite), l’irrealtà del non voler fare fatica e del poter guadagnare con facilità a danni degli altri e di se stesso, l’irrealtà del desiderare una vita spaccona e ricca come modello a cui ispirarsi. La realtà, quella vera, è tutt’altra cosa.