Non esiste il rischio zero
Non siamo onnipotenti. Ce ne siamo resi conto ancora una volta davanti alla bara della piccola Camilla e di Giovanna, la mamma di Rezzato deceduta agli Spedali Civili di Brescia a fine anno. Lo strazio, le domande e la preghiera si sono intrecciati in questi giorni. L'editoriale del n° 1 di Voce è di don Adriano Bianchi
Ma non siamo onnipotenti e per questo il cammino sarà difficile e faticoso. Nemmeno la scienza e la medicina sono onnipotenti. Ce ne siamo accorti dalla cronaca impietosa delle morti di mamme e bambini appena nati o pronti a nascere che hanno caratterizzato questo inizio anno. Morti che toccano da vicino il mistero della vita e che ci fanno sentire vulnerabili anche come comunità. Sono tragedie evitabili? Non tutto nella vita può essere sotto controllo. Per errori, fatalità, mancanza di prevenzione, le tragedie continuano ad accadere. La storia di Giovanna e delle mamme come lei ci ricorda che l’imprevisto è in agguato, che anche la gravidanza non può essere considerata come una parentesi qualsiasi tra altri eventi della vita. La sanità italiana ha un primato mondiale positivo di percentuali basse relative alle morti fetali e materne. Tuttavia queste persistono, perché in medicina il rischio zero non esiste. I nostri dati di morti materne sono i migliori al mondo, con 4 episodi ogni 100mila gravidanze, ma ci sono pur sempre 20 mamme morte ogni anno e non è mai poco. Non ci consola nemmeno pensare che lo zero per cento assoluto non è raggiunto in nessuna parte al mondo.
Colpe? Possono esserci e vanno appurate, ma va anche ricordato che la vita e la gravidanza non sono la passeggiata che si racconta in qualche spot pubblicitario. Ogni gravidanza ha bisogno di un tempo e non è per ogni tempo (quando e come la decido io). Credere che fare un figlio sia un diritto assoluto da programmare in base all’agenda degli impegni e delle circostanze fa percepire qualsiasi imprevisto (un ricovero inatteso o una nascita prematura) come la lesione di un diritto, come un’ingiustizia. Andrebbe ricordato anzitutto che la ipermedicalizzazione del tempo della gestazione o altresì la sottovalutazione di fattori di rischio come il fumo o l’aumento dell’età materna non favoriscono una corretta percezione anche di questo evento. In secondo luogo gli operatori delle strutture sanitarie sia pubbliche che private dovrebbero sempre favorire un’adeguata cultura del malato che miri a guardare “gli utenti” sempre come persone di cui avere cura e non come “potenziali consumatori” di servizi sanitari dove i bilanci sono la discriminante maggiore. Certo, questo non basterà a dare senso a quanto accaduto, potrà farlo, forse, solo la preghiera.