Nella distruzione dov'è Dio?
Nel XXXIV capitolo de “I Promessi Sposi” compare una madre che “portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno”. La madre di Cecilia con la sua compostezza ci ricorda l’umanità di Maria che stava ai piedi della croce.
Leggendo questa pagina straordinaria di Manzoni non possiamo non pensare ai tanti corpi inermi che giacciono sulla terra ucraina intrisa di sangue e che hanno bisogno di una degna sepoltura e di una carezza umana. Le fosse comuni di Bucha, in Ucraina, non sono diverse dalla pulizia etnica avvenuta nell’ex Jugoslavia, dal genocidio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale o dai massacri in Burundi o dalle più recenti uccisioni di massa in Birmania. La storia, dicevano i latini con Cicerone, è maestra di vita. Insegna. Nel bene e purtroppo nel male. La guerra non fa sconti. Lascia sul campo le vittime, annienta le città, semina paura e rancore. Bertolt Brecht scriveva: “La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente”.
Davanti ai crimini contro l’umanità constatiamo la morte di Dio. Ma dov’è Dio nella distruzione dell’uomo? Non lo vediamo ma è lì che lenisce le ferite attraverso chi presta soccorso. Non lo vediamo ma è lì che infonde speranza attraverso la sua Parola. Non lo vediamo ma è lì che placa la sete di vendetta. Non lo vediamo ma è lì in mezzo alla polvere e al fango e nelle case sventrate. Non lo vediamo nel dolore atroce della guerra. Non lo vediamo nelle tante ingiustizie sociali che abitano la nostra società e soprattutto il Sud del mondo. Se guardiamo alla nostra vita, non lo vediamo nemmeno nelle fatiche della malattia. Non lo vediamo nella caducità della vita. Non lo vediamo nella stanchezza della vecchiaia. Non lo vediamo nella spensieratezza della gioventù. Non lo vediamo nel matrimonio. Non lo vediamo nel lavoro. O forse lo vediamo ma non sappiamo ancora riconoscerlo. La Settimana Santa alle porte non è un rito che si ripete in maniera stanca ma è un’occasione di conversione.