Nave, la Stefana e la sua gente
La crisi che ha coinvolto le acciaierie Stefana preoccupano i lavoratori dell'azienda, ma anche la comunità di Nave che grazie ad essa ha potuto crescere. L'editoriale del n° 1 di Voce del 2015 è di don Adriano Bianchi
Di certo c’è il ritardo al rientro al lavoro per gli operai, la mancata firma dei contratti di solidarietà per quelli di Ospitaletto e Montirone e una probabile pesante mancanza di liquidità per un’azienda che in pochi giorni ha già subito prima il taglio dell’energia elettrica, poi ripristinata, e poi del gas in alcuni siti. Insomma il 2015 inizia con un’altra crisi industriale che speriamo trovi presto una strada di risoluzione positiva.
La crisi della Stefana, infatti, non è certamente l’unica nel campo siderurgico: un settore che ha occupato spesso le cronache nazionali, con l’Ilva di Taranto, o con le acciaierie di Terni e di Piombino. Aziende, città e famiglie. Ogni volta gli elementi in gioco sono molti e si intrecciano in una matassa difficile da districare.
Anche quella della Stefana è la storia di una tipica azienda legata in modo inscindibile al suo territorio e alla sua gente. Come la sua tante ne abbiamo viste anche nel bresciano in questi anni e ogni volta le loro crisi hanno costretto i territori a ridefinirsi. Nave è un paese che di queste trasformazioni ne ha già subite molte. Dalla chiusura dei molti impianti siderurgici alla fine degli anni Ottanta, al territorio segnato da immense aree industriali dismesse e a una situazione ambientale critica, il paese ha affrontato nel tempo una lenta, e non ancora conclusa, riconversione e bonifica del territorio fino a diventare, secondo i dati di una recente ricerca, uno dei Comuni bresciani con il più alto tasso di qualità della vita.
Ora questa crisi rimette molte cose in discussione perché, oltre al destino dell’azienda, c’è in ballo la tranquillità di tante famiglie e il loro desiderio di futuro, si rischia di vanificare l’impegno di tanti che in questi anni hanno costruito un virtuoso circolo di benessere tra stabilità e serenità sociale, pur tra le tante difficoltà contingenti. La Stefana a Nave non è, infatti, solo una fabbrica, è il legame con una famiglia, è stato un progetto di lavoro e di vita, è una politica aziendale che ha permesso l’occupazione di molti giovani, è, nel bene e nel male, lo sviluppo di una sensibilità sociale nei cittadini che ha segnato anche la comunità cristiana, che mai si è sentita estranea alle sorti del lavoro in questa terra, è un insieme di collaborazioni tra istituzioni, associazioni e realtà vive che in ogni stagione ha saputo trovare le soluzioni più eque e opportune per il bene comune. Sarà ancora sostenibile?
Ora tocca a Nave rimettere in gioco le risorse di creatività, competenza e pacatezza che ha sempre avuto. Questa ennesima difficile prova ha bisogno di una comunità unita. Il resto lo dovrà fare chi ha delle responsabilità, a partire dalla proprietà. Servirà chiarezza e spirito di sacrificio, ma soprattutto la forza di mettere in moto tutte le sinergie possibili per tornare a guardare con speranza al futuro, perché, anche a Nave, non si ripeta ciò che purtroppo abbiamo già visto in tanti altri paesi bresciani.