Morire in Ospedale
Spesso ci si dimentica che il reparto di terapia intensiva neonatale si chiama così perché è il luogo in cui vanno i bimbi che lottano con la morte in situazioni debilitate, complicate… altrimenti non sarebbe terapia intensiva. Ci si dimentica che queste giovani vite combattono per la vita contro la morte con poche energie, in condizioni talvolta drammatiche
Si chiama Marco il bimbo, nato prematuro dopo una gravidanza complicata, che nei giorni scorsi è morto agli Spedali Civili. La cronaca racconta che la morte di Marco è stata preceduta, in una decina di giorni, da quella di altri due bimbi, che si trovavano nella stessa stanza in terapia intensiva neonatale. È lo stesso reparto balzato alle cronache estive per l’infezione da Serratia marcescens e che aveva provocato la morte di altri piccoli. Sono in corso, ovviamente, accertamenti per capire il motivo per cui i cuoricini di questi bimbi hanno smesso di battere. Alla giustizia il proprio corso.
Non si discutono il dramma, il dolore, lo sconforto, i pianti e quant’altro accompagna questi momenti tristi di una vita che si spegne prematuramente. Non si discutono, e a volte sarebbe davvero meglio tacere e non scrivere, evitando di giocare al colpevole e al massacro di qualcuno. Sui media, e qui facciamo autocritica, e sui social network sembra che già i colpevoli siano stati individuati, processati e condannati: il reparto di Tin, i suoi operatori, dai medici a coloro che puliscono, passando per infermieri e quant’altro. Senza poi contare come il gioco al massacro colpisca l’intera struttura sanitaria bresciana. Ma ci si dimentica che, per fortuna e a Dio piacendo, la costituzione italiana e il diritto danno un uomo innocente fino a prova contraria. E non il contrario.
Ci si dimentica che il reparto di terapia intensiva neonatale si chiama così perché è il luogo in cui vanno i bimbi che lottano con la morte in situazioni debilitate, complicate… altrimenti non sarebbe terapia intensiva. Ci si dimentica che queste giovani vite combattono per la vita contro la morte con poche energie, in condizioni talvolta talmente drammatiche per cui persino il naso raffreddato di mamma o papà può essere davvero problematico. Ci si dimentica che la realtà di questi bambini è più vicina alla morte che alla vita. Ci si dimentica che medici e infermieri sono lì per combattere con loro questa battaglia. Ci si dimentica che sono persone che si affezionano, piangono e ridono per ogni segnale, per ogni passo avanti o indietro. Ci si dimentica che lottano con la vita e con la morte insieme al respiro di ogni singolo, che gioiscono con mamma e papà e condividono persino il dolore drammatico della sconfitta. Ci si dimentica che sono uomini e non Dio. CI si dimentica che l’uomo, nonostante il progresso scientifico, non può ancora fare tutto… E non si chieda al camice bianco di essere Dio, perché sotto quell’abito batte un cuore umano. Che si scoprano le responsabilità! Che si pianga la morte! Che si taccia davanti al limite umano e si scopra il silenzio dinnanzi al mistero!