Morire da soli
Il Coronavirus ci toglie l’umanità, proprio rendendoci consapevoli di ciò che dà senso al tempo. Ci fa morire soli
Una delle cose, tante, che il Coronavirus sta facendo è quella di privare, nel morire, dell’accompagnamento, dell’ultimo saluto, dell’abbraccio d’addio di un padre, una madre, un nonno, una zia, un cugino, un figlio, un nipote… Il Coronavirus ci toglie l’umanità, proprio rendendoci consapevoli di ciò che dà senso al tempo. Ci fa morire soli.
“La paura della morte spinge l’uomo ad avere coscienza del proprio morire e, allo stesso tempo, del proprio vivere”. “Bisogna innanzitutto distinguere il morire con il decesso. Il decesso riguarda principalmente il defunto e indica normalmente la cessazione delle azioni vitali del corpo. Morire è una realtà che riguarda l’uomo vivente in quella tensione tra inizio e fine del proprio percorso su questa terra. Si comincia a morire al momento della nascita”.
Al tempo del Coronavirus, così come in ogni momento difficile si viva nella vita, queste affermazioni (tratte da “Siate fedeli alla terra!”) risuonano nella loro verità. Più la presa di coscienza del morire, o della sua possibilità, aumenta, più si rafforza la percezione della possibilità che il tempo che rimane sia tempo da vivere arricchendolo di senso.
Le reazioni di queste giornate, le riflessioni di molti, l’esperienza drammatica di tanti, dicono che la ricerca di senso del tempo che rimane da vivere sta nelle relazioni che contano. Questo vale sempre. Le relazioni che contano, l’amore, sono ciò che offrono senso al tempo. Sempre. Quando si è sani e quando si è malati. Solo che questa profonda verità la si scopre proprio quando il vivere è coscientemente, e con un po’ di paura, percepito nel suo morire; percepito nel suo essere limitato.
Tra le cose, il coronavirus aumenta la consapevolezza della paura di morire e toglie a molti, la cronaca quotidiana lo racconta, la possibilità di vivere l’ultimo tempo “con” per dire l’ultimo ciao o addio. Nella speranza che sia adDio, alla latina, un arrivederci in Dio.
E a quanti (operatori sanitari) potranno salutare i nostri cari (oppure potrebbe capitare a noi che scriviamo o leggiamo) perché in servizio in prima linea non si scordino di portare, assieme all’assistenza medica che già offrono in modo irreprensibile, anche un po’ di accompagnamento umano, che accolga l’ultimo saluto, l’ultima lacrima… E che poi sia adDio, perché “l’amore è forte come la morte”, diceva l’autore del Cantico dei Cantici (Ct. 8,6). Senza facili romanticismi ma con la follia della ragione che nell’amore ci chiede di morire per l’altro, di sperimentare la morte con l’altro e, proprio perché è amore, in quegli attimi pensare alla vita.AdDio.