Moltitudine o popolo
Un governo democratico della città deve porre tracce di umanità nelle case, nelle strade, nelle piazze, nel centro, nelle periferie. Altrimenti la democrazia si ammala e si spegne
“Si resta una moltitudine come noi siamo, e non un popolo. La democrazia è poca cosa, anzi forse non ce ne facciamo nulla”. La provocazione è di Massimo Cacciari che, nei giorni scorsi, ha tenuto una lezione al Salone del Libro, in corso a Torino, per presentare “Ianus”, il festival della cultura classica che si terrà in autunno nella stessa città. Come può esserci democrazia se non c’è un popolo che pensa, che ha memoria, che sa guardare oltre il contingente? La provocazione era stata preceduta da un’altra: “Idioti di tutto il mondo unitevi. Chiamate pure ‘inutili’ gli studi del latino e del greco. Non avete capito niente. Il pensiero classico oggi non è solo utile, è necessario per la nostra democrazia”. Forse sorridono quanti si preparano alle imminenti elezioni amministrative oppure stanno dibattendo i contenuti di una nuova legge elettorale. Il voto arriva spesso per canali che nulla o poco hanno a che fare con il pensiero, la memoria, il discernimento. Perché affaticarsi a pensare e a far pensare?
Perché richiamare addirittura la cultura classica? Cacciari nel rispondere richiama l’antica Atene e afferma che in quella città “tutti erano philosofountes, dal calzolaio, al politico, animati dalla curiosità di informarsi criticamente in prima persona”. Un filosofo non è un estraneo alla realtà. È colui che rende il pensiero generativo di scelte lungimiranti. Un filosofo è un uomo di pensiero che non necessariamente possiede titoli accademici ma certamente vive una serena inquietudine di fronte al senso della propria e altrui vita. Costruire ponti e abbattere muri interiori per compiere scelte utili e belle per gli altri: questa la prima sfida a cui rispondere per essere persone, per essere popolo, per camminare verso il futuro con l’aiuto pedagogico della memoria. In questo contesto Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, presentando al Salone del Libro l’opera “Architettura e democrazia”, si sofferma sulla città come luogo e tempo in cui la persona e la comunità vivono le loro identità in rapporto ad altre.
Chi governa la città, non deve allora copiare altri modelli, ma distinguersi per la capacità di distribuire al proprio interno beni e servizi che possano garantire la qualità della vita della persona e del popolo, la loro armonia con l’ambiente, la possibilità di tessere relazioni con tutti. Un governo democratico della città deve porre tracce di umanità nelle case, nelle strade, nelle piazze, nel centro, nelle periferie. Altrimenti la democrazia si ammala e si spegne.