Mobilità: ribaltare la prospettiva
Scriveva Le Corbusier nel 1939: “I percorsi terrestri, fino all’avvento delle macchine, obbedivano al ritmo dell’uomo: quattro chilometri all’ora di velocità”. Oggi i “percorsi terrestri” servono soprattutto alle autovetture private, diffuse in Italia più che nella maggior parte del mondo. Le automobili, che nella città di Brescia sono 0,61 per ogni abitante (dati ACI), consentono spostamenti più veloci e soprattutto flessibili, cambiando radicalmente la vita delle persone. I viaggi senza una sola, abituale destinazione, sono molto superiori al classico tragitto casa-scuola o casa-lavoro, con la conseguenza che i trasporti pubblici faticano a soddisfare una domanda dispersa e sempre in mutazione.
In altri termini, quando le auto hanno fatto irruzione nelle nostre città, l’85% delle quali è stata fondata prima del XIV secolo, hanno gradualmente condizionato lo sviluppo urbanistico e il paesaggio. Gli stretti vicoli dei centri storici, le stupende piazze, le aree libere sono state invase da mezzi privati motorizzati sempre più potenti ed ingombranti e le città si sono espanse senza apparenti regole. La situazione sta decisamente migliorando: non vediamo più auto parcheggiate in piazza in Piazza Paolo VI e la tendenza generale, almeno in Europa, è di riguadagnare spazi urbani alla mobilità pedonale e ciclabile, potendo contare su ampie sezioni stradali, perché dimensionate sulle auto.
Tuttavia, le sfide poste dalla sostenibilità, in cui la sicurezza nei trasporti è condizione imprescindibile, sono ancora davanti a noi. In generale, il consumo finale di petrolio è per due/terzi legato ai trasporti e in Europa il 38% delle vittime di incidente stradale si verifica su strade urbane. Gli investimenti ingenti nei mezzi di trasporto pubblico collettivi che la città di Brescia ha sostenuto e sosterrà nel futuro ne fanno un laboratorio europeo per la mobilità sostenibile.
Per esserlo davvero, è necessario far oscillare il “pendolo” delle politiche pubbliche dalla “carota” (la metropolitana e il tram), al “bastone” (le restrizioni alla circolazione), cambiando il paradigma. Invece di parlare di “utenti vulnerabili” per definirne la fragilità di un pedone in caso di collisione, dovremmo chiamare i mezzi motorizzati: “utenti pericolosi della strada”. In fondo sono loro, per riprendere Le Corbusier, gli ultimi arrivati nelle aree urbane. Invece di parlare di “zone a traffico limitato”, si potrebbero definire le “zone a traffico motorizzato consentito”, poche o nulle nei centri storici. Un ribaltamento di prospettiva che deve accompagnarsi a scelte concrete, non facili, che includono un nuovo destino per i parcheggi centrali esistenti.