Migranti: scelte, gesti e doveri
Ero vicino a una famiglia di rifugiati eritrei – papà, mamma e il piccolo Adonai −, mentre ascoltavo le parole del Papa ai partecipanti al VI Forum internazionale “Migrazioni e pace”, il 21 febbraio, nella sala Clementina
Ero vicino a una famiglia di rifugiati eritrei – papà, mamma e il piccolo Adonai −, mentre ascoltavo le parole del Papa ai partecipanti al VI Forum internazionale “Migrazioni e pace”, il 21 febbraio, nella sala Clementina. Il loro sguardo commosso, ma soprattutto la loro storia di migrazione forzata rendevano ancora più reali e concrete le indicazioni di papa Francesco. Un discorso che è quasi un programma pastorale e sociale, articolato attorno a quattro verbi. Accogliere, anzitutto, che non equivale ad aspettare, attendere i migranti, ma favorire “canali umanitari accessibili e sicuri” e preparare le nostre comunità a un’accoglienza diffusa, personale e familiare. Proteggere, tutelare i migranti dallo sfruttamento, dall’abuso, dalla violenza, con una lotta aperta ai trafficanti di esseri umani, ma anche rafforzando e non indebolendo gli strumenti giuridici di tutela dei migranti forzati. Promuovere, lavorando per lo sviluppo, la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, perché le migrazioni forzate di oggi nascono dall’impossibilità delle persone di vivere nella loro terra, troppe volte violata da guerre, terrorismo, disastri ambientali anche causati dall’uomo, ingiustizie: non si può indebolire la cooperazione internazionale in questo momento. E infine integrare, un processo biunivoco di mutuo riconoscimento, che nasce dal basso, evita ghettizzazioni, facilita il ricongiungimento familiare e, per la comunità cristiana, è segno di una Chiesa cattolica, universale.
Quattro verbi, quattro azioni guidate da tre doveri, che sempre il Magistero sociale – in particolare, cinquant’anni fa, l’enciclica Populorum progressio di Paolo VI – ha sottolineato: il dovere di giustizia, di civiltà, di solidarietà.
Attorno a questi doveri si costruisce una testimonianza cristiana nella vita sociale che s’impegna a superare le ingiustizie: da quelle di una distribuzione non equa dei beni, a quelle legate allo sfruttamento di persone e territori. I più non possono accontentarsi delle briciole. L’impegno per la giustizia si accompagna ad ogni forma di tutela della dignità della persona umana del migrante, anche in condizione di irregolarità. Giustizia e civiltà camminano se c’è un impegno sempre più allargato di solidarietà, che nasce dall’interesse per l’altro, riconosciuto come fratello, superando paure, pregiudizi, separazioni. E “la cultura dell’incontro”, ancora una volta ribadita da papa Francesco, è l’alfabeto che deve guidare il nostro cammino.