Mi piace il carnevale
Mi piace il Carnevale. Mi sono sempre divertita un mondo a mascherarmi, ad essere qualcun altro per un po’ di ore, dando vita, di volta in volta, ai personaggi che più amavo: vestivo i loro panni, ma ero io a farli muovere, parlare e pensare.
Le dame, che da bambina interpretavo, sognavano principi e cavalli alati; la scimmia, che nascondeva il corpo dell’adolescente in crescita, ha lasciato il posto alla spensierata e disinibita Pippi Calzelunghe dei 20 anni; e poi, da grande, quanti abiti e parrucche mi hanno regalato innumerevoli vite con pindarici salti nel tempo e nello spazio, nel sacro e nel profano! Non mi sono mai sottratta alla possibilità di esplorare punti di vista diversi facendomi aiutare dall’immaginazione.
È una strada, questa, percorribile in tutti i campi della nostra esistenza, anche nella spiritualità. Ne parla con autorevolezza l’inventore degli Esercizi Spirituali, S. Ignazio di Loyola, a proposito della lettura delle Sacre Scritture, ma a me interessa applicarla alla vita di tutti i giorni, secondo la grammatica dell’Incarnazione, che stiamo imparando ad usare. Gesù, il nostro Dio fatto uomo, ha rivestito i panni dell’umanità di tutti i tempi, di tutte le razze e condizioni sociali. Lo vediamo parlare con tutti, poveri e ricchi, sani e malati, lavoratori e disoccupati, uomini e donne, vecchi e bambini, gente di chiesa e pagani… lasciandosi “contaminare” dal bello di tutti, pur rimanendo meravigliosamente se stesso.
Forse aveva in mente il Carnevale o le parole dei bambini: “Facciamo finta che io sia…” o i giochi di ruolo dei grandi o il cinema o il teatro, quando pronunciò le Beatitudini e, rovesciando le prospettive, fece del paradosso una felice realtà. Non so se sia sufficiente allenare l’immaginazione per stare dietro a un Maestro così uomo e così Dio, ma sicuramente può far bene alla nostra quotidianità spesso così seriosamente uguale a se stessa. Non a caso il Carnevale viene prima della Quaresima, quasi a ricordarci, secondo un vecchio detto latino, che “semel in anno licet insanire” (“una volta l’anno è lecito impazzire”), ossia potrebbe essere una buona preparazione alla Quaresima e alla Passione lasciarci andare con leggerezza alla gioia di chi sa che lo Sposo è con noi, magari anche facendo le prove generali di quella pazzia che tra quaranta giorni, con ben altri toni, sarà dura realtà, una sconcertante verità con cui fare i conti e scegliere di abbracciare fino all’abisso della morte. Ne usciremo, risorti anche noi, se abituati a morire con Lui nelle morti di ogni giorno e a rinascere ad una nuova vita, noi, donne e uomini di terra capaci di immaginarci fatti anche di Cielo.