Mentori del nostro tempo
La fatica di vedere oltre, di trovare un senso ancora e comunque, di mantenere una pace di fondo, va rinnovata, ricreata in continuazione.
C’è una comunità che è nata per ospitare persone “in crisi”. Organizza spesso convegni in cui vengono ospitati “testimoni del nostro tempo”: persone cioè che raccontano le loro storie di vita e il loro pensiero. Sono persone che hanno qualcosa da raccontare perché alla loro esperienza di vita hanno saputo dare un senso, anche quando , forse, era difficile trovarlo. Possono essere medico, sacerdote, padre di famiglia, suora, poeta, mamma, fratello, cantante…Hanno qualcosa da raccontare, perché la vita li ha interrogati, o meglio, si sono lasciati interrogare. Sentirli allarga il cuore, porta in un’altra dimensione, dove non c’è la zavorra che spesso che tiene a terra, che porta a volare troppo basso o a non volare affatto. Una cosa che accomuna le loro biografie è una grande sofferenza: un lutto, una grave incomprensione nel loro ambiente di vita, un insuccesso, una famiglia d’origine non certamente iperprotettiva o altro ancora. Ma ciò che li ha resi grandi non è stata una buona dose di sofferenza in sé, ma cosa hanno saputo trarre da questa sofferenza, cioè la loro risurrezione. Una risurrezione avvenuta non in un istante, ma che ogni istante avviene, che ha bisogno continuamente di ripetersi, rinnovarsi, essere ricreata. Perché il risorgere dalle macerie del dolore non avviene una volta per sempre: non si può vivere di rendita in questo caso.
La fatica di vedere oltre, di trovare un senso ancora e comunque, di mantenere una pace di fondo, va rinnovata, ricreata in continuazione. L’altro elemento che accomuna queste persone è l’apertura verso l’altro, la dimensione sociale. Come se l’altro facesse parte imprescindibile della loro essenza, della loro identità. Trasudava questo dalle loro parole, dalle loro vite. Avevano scavato tanto in se stessi, ascoltato molto ciò che sentivano dentro, ma avevano ascoltato e ascoltavano molto anche l’altro. Questo ascolto profondo dell’altro aveva insegnato ad accogliere tutto ciò che è altro da sé, altre interiorità, altri mondi. E ciò si accompagna con una grande umiltà: “Chi sono io per giudicare?!”. Quando una persona diventa profondamente consapevole dei propri limiti non può che accostarsi all’altro, ad ogni altro da sé, in punta di piedi. Allora non gli interesserà avere ragione. Come ha detto uno di questi protagonisti, in tuta sul palco: “Non voglio mai avere ragione: quando parlo con gli altri, mi sembra che tutti abbiano ragione”. E quanta libertà interiore ne deriva , o meglio, di quanta libertà interiore questo è frutto.