Mensa o pranzo da casa?
La sentenza della corte di appello di Torino che ha dato il via libera al consumo a scuola del pranzo portato da casa pone un problema che va valutato con attenzione in tutti i suoi molteplici aspetti
Mensa o pranzo da casa: solo "pari dignità"?
Il
mondo della scuola, già in subbuglio di suo per il caos che ogni anno si
accompagna al suono della prima campanella, si trova a fare i conti con
un'altra grana che questa volta arriva dalle aule dei tribunali. Nei giorni
scorsi la Corte d'Appello di Torino ha rigettato la richiesta del ministero
della pubblica istruzione per impedire agli alunni il consumo del pasto portato
da casa nel tempo mensa.
In sostanza, il ministero,
chiedeva alla corte di pronunciarsi sull'obbligatorietà dei pasti messi a
disposizione dal servizio comunale. Richiesta bocciata con la conseguenza che
in ogni scuola d'Italia da oggi gli studenti che hanno scelto il tempo scuola
che prevede anche i pomeriggi potranno o usufruire del servizio mensa o
consumare il pranzo portato da casa.
La sentenza, come era facile
immaginare, ha creato e sta creando discussioni. Molte le voci che si sono
fatte sentire: da quelle dei docenti a quelle dei pedagogisti, tutte più o meno
d'accordo nel sottolineare la portata educativa che un pasto uguale per tutti
ha nell'insieme del percorso scolastico. Ragionamenti sacrosanti, che non fanno
una piega, ma che hanno ridotto la richiesta di poter consumare il pasto
portato da casa a mero capriccio di studenti schizzinosi o a eccesso d'affetto
di genitori preoccupati per l'alimentazione dei figli.
Forse per qualche caso sarà così.
Chi ha avuto o continua ad avere figli in età da mensa scolastica sa quanti
sono i genitori che non sopportano l'idea di mettersi intorno a un tavolo da
soli, senza la presenza degli figli, così come sa bene che la mancanza di una
seria educazione alimentare limiti molto il gusto dei ragazzi e la loro
propensione ad assaggiare cose nuove...
Dal dibattito che continua a tenere banco è stata estromessa, però, una questione basilare: quella economica. Con la crisi che ancora fa sentire i suoi effetti per tante famiglie anche i due euro (ma mediamente i costi sono più alti) del pasto quotidiano offerto dal servizio mensa sono un peso gravoso. E' vero che ogni singolo Comune ha messo in moto tutta una serie di meccanismi per andare incontro a chi attraversa situazioni di bisogno e trova difficoltà a pagare questo servizio.
Ci sono tariffe agevolate, certo, ma che hanno comunque un certo peso, senza
contare poi che, in nome della semplificazione, in tantissime realtà sono state
introdotte modalità che spostano sulle famiglie in modo preventivo il costo
della mensa. Sino a qualche anno fa i Comuni anticipavano i costi e poi
giravano il conto alle famiglie, da qualche tempo, anche per ovviare a molti
casi di insolvenza, è stato introdotto il sistema del "prima paghi e poi
mangi" e se vuoi la riduzione devi presentare opportuna documentazione.
Anche qui la scelta è più che
giusta, ma non tiene conto della difficoltà che tante famiglie ancora sperimentano
nell'andare a rendere pubblica la loro situazione di sofferenza. Di qui la
scelta, spesso dolorosa, di chiedere la sospensione dal servizio mensa con la
conseguente rinuncia a quelle opportunità educative che il pranzo consumato
insieme porta con se.
Chi oggi si interroga sul
carattere discriminatorio che la sentenza di Torino avrebbe in sé, dovrebbe
tenere conto anche delle ragioni che determinano in tanti casi la decisione di
non avvalersi del servizio mensa. È meno educativo che allo stesso tavolo
siedano alunni che consumano il pasto della mensa e il panino portato da casa o
che i posti restino vuoti perché qualcuno quel pranzo può permetterselo e
qualcun'altro no? Non so se questa sia una questione pedagogica, sicuramente è
una questione di giustizia e di condivisione