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Torino
di MASSIMO VENTURELLI 15 set 2016 13:24

Mensa o pranzo da casa?

La sentenza della corte di appello di Torino che ha dato il via libera al consumo a scuola del pranzo portato da casa pone un problema che va valutato con attenzione in tutti i suoi molteplici aspetti

Il mondo della scuola, già in subbuglio di suo per il caos che ogni anno si accompagna al suono della prima campanella, si trova a fare i conti con un'altra grana che questa volta arriva dalle aule dei tribunali. Nei giorni scorsi la Corte d'Appello di Torino ha rigettato la richiesta del ministero della pubblica istruzione per impedire agli alunni il consumo del pasto portato da casa nel tempo mensa. 

In sostanza, il ministero, chiedeva alla corte di pronunciarsi sull'obbligatorietà dei pasti messi a disposizione dal servizio comunale. Richiesta bocciata con la conseguenza che in ogni scuola d'Italia da oggi gli studenti che hanno scelto il tempo scuola che prevede anche i pomeriggi potranno o usufruire del servizio mensa o consumare il pranzo portato da casa.

La sentenza, come era facile immaginare, ha creato e sta creando discussioni. Molte le voci che si sono fatte sentire: da quelle dei docenti a quelle dei pedagogisti, tutte più o meno d'accordo nel sottolineare la portata educativa che un pasto uguale per tutti ha nell'insieme del percorso scolastico. Ragionamenti sacrosanti, che non fanno una piega, ma che hanno ridotto la richiesta di poter consumare il pasto portato da casa a mero capriccio di studenti schizzinosi o a eccesso d'affetto di genitori preoccupati per l'alimentazione dei figli. 

Forse per qualche caso sarà così. Chi ha avuto o continua ad avere figli in età da mensa scolastica sa quanti sono i genitori che non sopportano l'idea di mettersi intorno a un tavolo da soli, senza la presenza degli figli, così come sa bene che la mancanza di una seria educazione alimentare limiti molto il gusto dei ragazzi e la loro propensione ad assaggiare cose nuove...

Dal dibattito che continua a tenere banco è stata estromessa, però, una questione basilare: quella economica. Con la crisi che ancora fa sentire i suoi effetti per tante famiglie anche i due euro (ma mediamente i costi sono più alti) del pasto quotidiano offerto dal servizio mensa sono un peso gravoso. E' vero che ogni singolo Comune ha messo in moto tutta una serie di meccanismi per andare incontro a chi attraversa situazioni di bisogno e trova difficoltà a pagare questo servizio.

Ci sono tariffe agevolate, certo, ma che hanno comunque un certo peso, senza contare poi che, in nome della semplificazione, in tantissime realtà sono state introdotte modalità che spostano sulle famiglie in modo preventivo il costo della mensa. Sino a qualche anno fa i Comuni anticipavano i costi e poi giravano il conto alle famiglie, da qualche tempo, anche per ovviare a molti casi di insolvenza, è stato introdotto il sistema del "prima paghi e poi mangi" e se vuoi la riduzione devi presentare opportuna documentazione.

Anche qui la scelta è più che giusta, ma non tiene conto della difficoltà che tante famiglie ancora sperimentano nell'andare a rendere pubblica la loro situazione di sofferenza. Di qui la scelta, spesso dolorosa, di chiedere la sospensione dal servizio mensa con la conseguente rinuncia a quelle opportunità educative che il pranzo consumato insieme porta con se.

Chi oggi si interroga sul carattere discriminatorio che la sentenza di Torino avrebbe in sé, dovrebbe tenere conto anche delle ragioni che determinano in tanti casi la decisione di non avvalersi del servizio mensa. È meno educativo che allo stesso tavolo siedano alunni che consumano il pasto della mensa e il panino portato da casa o che i posti restino vuoti perché qualcuno quel pranzo può permetterselo e qualcun'altro no? Non so se questa sia una questione pedagogica, sicuramente è una questione di giustizia e di condivisione 

 


MASSIMO VENTURELLI 15 set 2016 13:24