Maestri, alunni, scuole e libri...
Noi cristiani con la questione dei maestri, degli alunni, delle scuole, dei libri… ci sentiamo proprio a casa, perché si parla del cuore stesso della nostra fede. Non a caso Gesù lo hanno chiamato e si faceva chiamare Maestro: aveva un messaggio da insegnare, un messaggio che non era semplicemente “inventato” da lui (perché tutto quello che diceva lo aveva ascoltato e imparato dal Padre); eppure, si identificava in quello che diceva e insegnava a tal punto da poter dire che chi ascoltava lui ascoltava il Padre, perché la sua vita era un tutt’uno con la sua parola. Per questo il suo parlare aveva un’autorità, un’autorevolezza che lasciava sbalorditi e portava – anche i più diffidenti – a doversi chiedere da dove venisse tanto “sapere”, tanta “sapienza”. E non è, dunque, neppure un caso che coloro che lo ascoltavano e lo seguivano venivano chiamati discepoli, perché erano nella disposizione di imparare, erano alunni, allievi (i “discenti”) che non sentivano solo con le orecchie, ma erano così interessati al Maestro da provare a far loro l’insegnamento ricevuto a tal punto da cercare di trasformare le loro menti (la parola conversione in greco si dice metanoia, cambiamento di mente), i loro cuori… le loro vite!
Per questo è stata proprio una bella scuola quella che hanno vissuto i discepoli di un tale Maestro: non sono mai stati seduti in un’aula, ma hanno imparato la materia più difficile (chi è Dio… chi è l’uomo… che cosa significa vivere!) facendo continuamente esperienza e imparando a pensare e a farsi domande da quello che vedevano e incontravano quotidianamente. E tra l’altro a questa scuola erano ammessi proprio tutti, e non era certo una classe di alunni modello, perché gli studenti non solo erano un po’ attempati e pure mica tanto bravi (pescatori analfabeti), ma pure anche un po’ stravaganti (c’è chi voleva mandare fuoco dal cielo…), testoni (vedi Pietro) o addirittura… pericolosi (vedi Giuda!).
E sono stati anche sorprendenti i libri che hanno usato in questa scuola: non stampati con inchiostro su carta (o meglio: su papiro o pergamena) e nemmeno il Libro più importante dell’epoca (e non solo!), la Scrittura; bensì quel libro aperto che è Gesù stesso, che è scritto con la carne delle parole dell’amore e che scrive sulla carne del cuore delle persone. Ecco: in questo periodo così faticoso, in cui il dibattito (giustamente) è abitato dalle grandi domande di fondo, sia sul senso sociale, educativo e culturale della scuola (mandare gli studenti a scuola o no? la partecipazione a scuola degli studenti delle secondarie di secondo grado è prioritaria anche rispetto a chi va in fabbrica, o no?), sia sul senso della didattica e della relazione tra docente e discente (la didattica a distanza “funziona” sì o no? chi viene aiutato e chi rischia di rimanere ancora e sempre più… distante?), mi piace ripensare a quel Maestro, a quei discepoli, a quella scuola e a quel libro. Perché abbiamo bisogno di ritrovare il senso, le radici, la forza, lo “spirito” dell’essere maestri e alunni e di avere scuole e libri. E noi cristiani abbiamo la grazia di venire da una grande storia che continua a tutt’oggi a offrire un orizzonte incomparabile: abbiamo e avremo sempre più bisogno di grandi maestri (che sappiano insegnare con tutta la loro vita) per accompagnare grandi alunni (che imparino ad imparare l’esistenza) in questa grande scuola (che è la Vita) il cui libro più bello è il Vangelo (la bella notizia!) della Misericordia (di Dio e dell’uomo).