Ma chi sono davvero io?
“Chi sono?”: questa domanda forse pochi se la sono posta in questi termini, così formale. Sicuramente, però, tutti l’agiamo, nel senso che chi sono, cioè la mia identità viene per forza agita, cioè “la butto fuori” attraverso i miei comportamenti, i miei atteggiamenti, le mie parole. La nostra identità è legata al sentirci appartenenti a una data famiglia, a una data nazione, a un dato ruolo professionale e sociale, al nostro eventuale credo religioso, ai nostri valori, ai nostri vissuti, ai nostri ricordi, etc.
Tutto questo lo portiamo “al di fuori” di noi stessi: noi siamo ciò che abbiamo dentro e che esplicitiamo, rendiamo visibile. Ognuno di noi è, generalmente, molto attaccato alla propria identità: la difende a spada tratta, perché è difendere se stessi, è confermare ciò che siamo. La nostra identità ci differenzia da qualsiasi altra persona e quindi ci individua: sono io anche perché ci sono altri tu dai quali mi differenzio. Anche per questo è così importante che un adolescente entri in conflitto con i genitori: ha bisogno di differenziarsi da essi, di costruire cioè una propria identità che, per definizione, non può essere la copia di quella dei suoi genitori. Differenziandoci, ci si identifica. A un livello più macroscopico, a volte succede che certi gruppi sociali sentano il bisogno perfino di entrare in conflitto con altri, perché così facendo rinforzano il loro senso di appartenenza, la loro identità. Attaccare l’altro ha in questo caso il significato di difendere, ma soprattutto rafforzare la propria identità: io sono in quanto mi differenzio da te. E più io credo che tu sia brutto e cattivo, più credo anche che io sia bello e buono. Denigrare l’altro ha allora come conseguenza innalzare me stesso, proprio in quanto mi ritengo molto diverso da te.
La propria identità viene spesso percepita come un blocco monolitico, qualcosa di cristallizzato, rigido, determinato e fisso. Io, cioè, sono questo, tengo a questo, appartengo a questo… Ma sarebbe bello e utile anche pensare che io posso essere anche “qualcun altro”, che posso cioè sperimentarmi diversamente, mettermi in gioco ed aggiungere o sostituire alcune “parti” di me. Potrei cioè pensare di poter dare altre forme alla mia identità, senza per questo aver paura di perderla: potrei invece arricchirla. Dovrei osare fare esperienza, mettermi in gioco, conoscere altro, aprirmi al nuovo, allo sconosciuto (in tutti i sensi), rendermi, insomma, permeabile. E’ difficile che ciò che è altro da me possa danneggiarmi: potrò tutt’al più rimanere come sono, ma molto più probabilmente, arricchirei invece la mia identità.