Lo spirito e la prassi di Assisi
Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto. L'editoriale di don Fabio Corazzina sul numero di 35 di Voce
Sono passati 30 anni dal primo incontro delle religioni per
la pace ad Assisi, cerchiamone lo spirito e scegliamo le prassi conseguenti da
agire come fraternità cristiana e umana.
Assisi 1986. Erano gli ultimi anni della guerra fredda che
preludevano alla caduta del muro di Berlino e Giovanni Paolo II disse in quella
occasione: “Il trovarsi insieme di tanti capi religiosi per pregare è di per sé
un invito oggi al mondo a diventare consapevole che esiste un’altra dimensione
della pace e un altro modo di promuoverla, che non è il risultato di negoziati,
di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della
preghiera, che, pur nella diversità di religioni, esprime una relazione con un
potere supremo che sorpassa le nostre capacità umane da sole”.
Assisi 1993. Erano i tristi giorni della guerra in Bosnia
Erzegovina. Nel 1995 il Trattato di Dayton a fatica decretò una pace ancora
troppo prona alle logiche di divisione etnica. Giovanni Paolo II disse: “Cristo
ci chiama a non lasciarci vincere dal male, ma a vincere con il bene il male
(cf. Rm 12, 21), a costruire una civiltà in cui regni supremo l’amore, e che
ponga in primo piano il rispetto dell’‘altro’. È mai possibile privare un uomo
del diritto alla vita e alla sicurezza, privare una donna del diritto alla sua
integrità e alla sua dignità, privare un bambino del diritto a un tetto che lo
ripari e del diritto a nutrirsi perché egli non è uno di noi, perché è
l’‘altro’? ‘Noi’, ‘loro’, non siamo forse tutti figli di un solo Dio?”.
Assisi 2002. Erano i terribili giorni del dopo attentato alle
Twin Towers dell’11 settembre seguiti dalla guerra preventiva al terrorismo di
Al Qaeda. Giovanni Paolo II disse: “... ho posto l’accento su due ‘pilastri’
sui quali poggia la pace: l’impegno per la giustizia e la disponibilità al
perdono. È doveroso, pertanto, che le persone e le comunità religiose
manifestino il più netto e radicale ripudio della violenza, di ogni violenza, a
partire da quella che pretende di ammantarsi di religiosità, facendo
addirittura appello al nome sacrosanto di Dio per offendere l’uomo. L’offesa
dell’uomo è, in definitiva, offesa di Dio”.
Assisi 2011. Erano i giorni in cui Gheddafi invocava la guerra santa e il dissidente cinese Liu XiaoBao e l’economista Muhammad Yunus (microcredito) vincevano il Premio Nobel per la pace, dell’arresto per crimini contro l’umanità di Ratko Mladic e della fine ufficiale della guerra in Iraq e Benedetto XVI diceva: “Se una tipologia fondamentale di violenza viene oggi motivata religiosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circa la loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una seconda tipologia di violenza dall’aspetto multiforme ha una motivazione esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò”.
Assisi 2016. Papa Francesco
sottolinea “il dramma del ‘cuore inaridito’, dell’amore non ricambiato, un
dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con
l’aceto, che è vino andato a male. Implorano pace le vittime delle guerre, che
inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli
e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a
lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Hanno sete.
Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li
ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il
silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la
freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia
un canale in televisione”.