lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
di ADRIANO BIANCHI 28 set 2017 10:10

Lo ius culturae che Brescia garantisce

Ci sono temi nel dibattito pubblico che più di altri si prestano alla retorica e alla strumentalizzazione. Ce ne sono altri che restano scomodi in ogni stagione. L’agenda dei temi in discussione di questi tempi non conosce tante variazioni

Ci sono temi nel dibattito pubblico che più di altri si prestano alla retorica e alla strumentalizzazione. Ce ne sono altri che restano scomodi in ogni stagione. L’agenda dei temi in discussione di questi tempi non conosce tante variazioni. Anche il neo Presidente della Conferenza episcopale italiana, il card. Gualtiero Bassetti, nella recente prolusione al Consiglio permanente ha voluto sottolinearne quattro che definisce “imprescindibili per il momento che il Paese vive” e che ha chiamato “ambiti da non disertare” dove la Chiesa, ma direi ogni comunità cristiana diocesana o parrocchiale che sia, “è chiamata a fare un serio discernimento”. Bassetti ha parlato di lavoro, giovani, famiglia e migrazioni.

Mi soffermo sull’ultimo tema in questa eterna discussione dei media e della politica sull’opportunità o meno di approvare una legge sullo ius soli. Val la pena ricordare, intanto, le parole del Cardinale: “Penso che la costruzione di questo processo d’integrazione possa passare anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza − è la chiosa − di quegli uomini e donne che, nati in Italia, parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica con i valori che porta con sé”. Parole chiare. Presa di posizione pro ius soli, o meglio pro ius culturae. L’obiettivo dichiarato dei vescovi è che con questo percorso “l’Italia diventi un Paese migliore”. Possiamo essere d’accordo? Basta una legge sulla cittadinanza per gli stranieri a migliorare il Paese? Da buoni bresciani guardando alla nostra esperienza concreta, sempre che si riesca a uscire un po’ dalla demagogia populista e dai tatticismi variabili, potremmo restare almeno un poco sorpresi. Non è vero che viviamo in uno dei territori in cui il tasso di stranieri è tra i più alti in Italia? Non è altrettanto vero che la nostra gente sta affrontando la sfida dell’integrazione non da ieri, ma ormai da decenni?

Non è forse vero che alcuni degli immigrati “bresciani” della prima ora sono ormai nonni? A ben vedere gli stranieri lavorano ormai da generazioni nelle nostre aziende; sono nostri vicini di casa; frequentano gli oratori; vanno a scuola con i nostri bambini e parlano perfettamente il dialetto bresciano.
Non siamo bravi, ma è evidente che il percorso di integrazione culturale, sociale e anche religioso a Brescia non è ai primi passi. Lo ius culturae da noi non è un pezzo di carta, è applicato, assodato nei fatti, forse ormai costitutivo dell’identità bresciana. Ogni nostra comunità da decenni vive questa sfida. Non c’è territorio che non abbia investito in percorsi di conoscenza, dialogo, incontro reciproco con i nuovi arrivati. Non c’è bresciano che non possa dire di aver conosciuto “brave persone” tra gli stranieri e le loro famiglie, almeno tanto quanti ne abbia conosciuti tra gli autoctoni. Per questo Brescia può forse già insegnare ad altre province italiane come “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” i nuovi cittadini. Gli stranieri “bresciani”, forse non per carta d’identità, ma “di fatto”, da noi sono davvero tanti e lo sono da generazioni. Per questo non possiamo che essere d’accordo con il Presidente della Cei sulla necessità di arrivare a definire anche giuridicamente questa nuova cittadinanza. È lo stile con cui abbiamo operato in casa nostra. Anche la pastorale, sotto l’impulso dell’ufficio per i migranti, ha assunto questo stile. Gli stranieri non sono per noi ospiti, ma fin da subito concittadini. Le resistenze e fatiche, anche nelle comunità cristiane, non sono state e non sono poche, ma la linea è tracciata.


Se allora il Parlamento non approverà in questa legislatura lo ius soli o culturae avremo solo perso un’altra occasione per fare qualcosa di buono. Il passo di civiltà trova certo nella norma una sua consacrazione, ma ciò che resta imprescindibile è che la maturazione dell’agire della società verso una reale crescita e integrazione avvenga nel concreto. E su questo qualcosa fortunatamente abbiamo fatto. 

ADRIANO BIANCHI 28 set 2017 10:10