Litigano su tutto
Litigano su tutto eppure stanno ancora insieme. Per quanto? Non è dato saperlo. Rumors autorevoli, interni al governo, parlano di un’aspettativa di vita breve, poco più di un mese. L’esecutivo targato Lega-5stelle sarebbe alla frutta.
Il dolce, con la più o meno buona uscita, sarà servito dopo il 26 maggio con l’esito delle elezioni europee e amministrative quando pesi e contrappesi potrebbero mutare. I due vicepremier Salvini e Di Maio, che obbligano il Paese a una campagna elettorale permanente, in questo periodo si stuzzicano a distanza, accentuano le differenze ideologiche, ribadiscono i cavalli di battaglia in cerca dell’ultimo consenso. A fine maggio sperano di andare all’incasso sui due provvedimenti madre di ciascun partito: il reddito di cittadinanza per i grillini, che vede, a oggi, quasi 9.000 richieste solo a Brescia e 800.000 in Italia, e quota 100 che nelle prime settimane di vita del provvedimento ha registrato 1.000 domande bresciane. Ma la resa dei conti sarebbe davvero alle porte. Un racconto che la stampa registra costantemente dal giorno in cui è nato il governo Conte. Sarà così? L’impressione è che le convenienze a stare insieme saranno ancora per un po’ più forti della volontà di intraprendere ciascuno la propria strada. D’altro canto la Lega, data in crescita nei sondaggi, non ha i numeri in Parlamento per governare col centrodestra e un accordo tra M5s e Partito democratico è ad oggi impensabile. Se il governo cadesse si andrebbe probabilmente quasi immediatamente a nuove elezioni. Ciò che ci dovrebbe preoccupare è altresì il crollo e la poca credibilità di quei soggetti politici che fino a ieri hanno rappresentato una posizione di governo autorevole e moderata, pur nelle differenze di proposta politica, come Forza Italia e il Pd. Se da un lato Forza Italia non ha ancora deciso cosa vuole essere dopo Berlusconi (candidato alle europee), il Pd di Zingaretti pare ancora lontano dalla possibilità di affermarsi nuovamente come forza di governo, dopo il fuoco amico dell’era renziana. Insomma un’alternativa credibile per il governo dell’Italia non sembra alle porte. Saremo condannati ad abitare il conflitto giallo-verde per altri quattro anni? Ritrovare lo stile del buon governo del Paese è un’impresa difficile. Ricostruire il patto di fiducia tra i cittadini e la classe dirigente con lo sguardo al bene comune, alla solidarietà verso le membra più fragili del corpo sociale, cercare di far ripartire l’Italia senza disperdere il suo patrimonio di bellezza, creatività e competenza non è un compito da poco... Una proposta di governo così frammentata e contraddittoria come quella attuale rischia di compromettere molti traguardi faticosamente conquistati. Sulla coscienza di chi ha governato in precedenza resta la responsabilità di non aver saputo ascoltare il grido di un Paese che non vive solo di Pil e percentuali, ma che ha bisogno di lavoro, dignità e una visione per credere e sentirsi parte di un cammino comune. Troppe le domande eluse e i bisogni non accolti. La lezione che viene dai territori, dalle città, dalle amministrazioni locali è certamente più virtuosa e andrebbe forse maggiormente valorizzata. Andrebbe meglio compreso e pensato come le buone pratiche che si vivono nei paesi e nelle piccole comunità possano essere riportate e rese utili a vantaggio del contesto nazionale. Un’operazione che, nonostante tanta buona volontà dei singoli, non è ancora riuscita in pieno. Quello che un buon sindaco, qualsiasi sia la sua parte politica, vede come problema e cerca di risolvere con buon senso nella sua città, non pare accadere quando diventa ministro o premier. Colpa della demagogia? Dell’arroganza? Dell’ebbrezza del potere? Peccato, ci va di mezzo l’Italia. Ci andiamo di mezzo tutti noi. Abbiamo molta strada da fare. (a.b.)