Lettere a Dio
“Perché lasci che le nostre fragilità ci portino alla resa?”. Come non essere d’accordo con Asia? O come non condividere quanto annota Martina: “ParlarTi ha avuto un non so che di liberatorio, perciò mi sento in dovere di ringraziarTi”. Scrivere una lettera a Dio è un esercizio del cuore che fa bene. Significa prendersi un po’ di tempo per riordinare le idee, per gridare la propria rabbia o per ringraziare. C’è anche il rischio di ritrovarsi con un foglio intonso tra le mani, incapaci di mettere nero su bianco le proprie impressioni.
Nessuno ci vieta di provare a farlo e di ripetere l’azione a distanza di tempo. Centocinquanta studenti del Cossali, sollecitati dal loro docente di religione, Francesco Capretti, hanno raccolto la sfida. Per una volta sono i giovani che raccontano il loro rapporto con quel Creatore che, per i più, rischia di essere qualcosa di lontano dal proprio vissuto. Il risultato è in un libro (Angolazioni Editore), curato dallo stesso Capretti e da Francesco Uberti, che prende il titolo (proprio “Lettere a Dio”) da un capitolo del volume “Il pane perduto” di Edith Bruck oggetto di una rilettura scolastica. In questi scritti, forse involontariamente, riecheggiano le pagine della Scrittura, da Giobbe al Salmista, dai Profeti al Magnificat, a testimonianza della straordinaria attualità della Buona Notizia.
Nei sette capitoli, anche se alla fine trionfa la speranza cristiana, ritroviamo tutti gli stati d’animo: da “Non mi importa di te” a “Tu non ci sei”, da “Perché?” a “Se ci sei, dove sei?”, da “Aiutami” a “Grazie”. Il risultato è una fotografia attendibile del rapporto con il sacro. Quel che più colpisce di queste missive è la loro capacità di incrociare, nonostante siano frutto della freschezza giovanile, anche il vissuto di ciascuno di noi, senza distinzioni anagrafiche. Di fronte al mistero dell’Assoluto, che ha interessato sacerdoti, scrittori, poeti..., ci sono la rassegnazione e il disincanto ma anche la fede in qualcosa di più grande dell’uomo, di qualcosa di incommensurabile. Potremmo utilizzare le parole di Vittorio per affermare: “Se non Ti dispiace, nel mio piccolo, senza imporlo a nessuno, continuerò probabilmente a credere che ci sei: non so dove e non so in che modo, ma sei da qualche parte per darmi una speranza che tutto quello che mi succede abbia un senso”.