Le rose bianche e i ceri
Il rito dei Ceri e delle Rose nella chiesa di San Francesco
Le rose bianche sono una tradizione per i francescani: nel 1858 il Ministro generale dell’Ordine dei frati minori conventuali, P. Giacinto Gualerni di Chiaravalle, offrì a papa Pio IX una rosa d’oro come segno di gratitudine per la proclamazione del Dogma in cui i Frati francescani furono da secoli sostenitori, in modo particolare nella persona di fr. Giovanni Duns Schoto, oggi beato. Pio XII iniziò ad inviare, in Piazza di Spagna, nella Solennità dell’Immacolata dei fiori come omaggio alla Vergine. Il suo successore, papa Giovanni XXIII, nel 1958, uscì dal Vaticano e depose personalmente ai piedi della Vergine Maria un cesto di rose bianche. Consuetudine continuata anche dai papi successivi. Paolo VI regalò la rosa d’oro al Santuario di Lourdes dove la Vergine disse di essere l’Immacolata Concezione. Nel nostro convento la suggestiva cerimonia dei ceri e delle rose è stata ripristinata nel 1929, l’anno successivo al ritorno dei frati, dopo il lungo periodo di soppressione. Potremmo anche dire che sigillò il nuovo patto di amicizia tra frati e città dopo questi eventi drammatici che trasformarono il convento in caserma, la “Casa di preghiera” in scuola di guerra. La solennità fu sempre celebrata anche durante il periodo bellico ad eccezione del 1964 quando si tenne in Duomo per l’entrata del nuovo vescovo di Brescia, mons. Luigi Morstabilini.
I ceri sono donati dal Sindaco a nome della cittadinanza alla Vergine Immacolata e ardono fino a completa consumazione nella cappella a Lei dedicata. Sono la continuazione della “preghiera” che la Città vuole far salire fino alla Vergine perché interceda presso il Figlio suo per il bene del popolo bresciano.
La preghiera viene letta dal Vescovo a nome di tutti ed è scandita secondo tre passaggi: la misericordia verso le “miserie”, i “peccati” e le “debolezze” della città. L’invito a guardare anche alle “opere buone” compiute dai cittadini. Segue l’intercessione per le famiglie, le scuole, gli ospedali, gli ambienti di lavoro, e per i giovani, i poveri e gli emarginati. Infine l’aiuto perché non “si estingua la fede trasmessa dai padri alle nuove generazioni”.
Il perché di questa tradizione attraversa i secoli: i frati minori si prodigarono nel 1248, in un’opera di pacificazione per ricomporre la diatriba tra Guelfi e Ghibellini che divideva la città e che aveva portato all’espulsione del podestà Lambertino da Bologna. Sant’Antonio di Padova che senz’altro visitò la primitiva sede dei francescani (l’odierna chiesa di s. Giorgio) dal 1652 divenne Santo protettore della città in seguito ad alcuni miracoli compiuti per il bene delle campagne, facendo piovere in periodi di siccità e richiamando il sole a splendere in periodi di allagamenti. Fu questo affetto “cittadino” a fare della Chiesa di San Francesco il luogo di incontro tra fede e città, tra cielo e terra.