Le lacrime versate per i bimbi mai nati
Un post su Facebook diventa pasto per cronisti. Al Cimitero Flaminio di Roma una donna cerca e trova il proprio nome su una croce (simbolo che aborrisce e, dice, “non mi rappresenta”) e scoppia il caso. Lì è stato seppellito quello che nel post lei stessa definisce talvolta “prodotto del concepimento” e talaltra (nessuno si stupisca) “mio figlio”. Imprudentemente seppellito col nome della mamma, non avendo altro nome. I responsabili del Cimitero si giustificano: è per dare la possibilità di riconoscere la tomba a quei genitori che desiderano far visita alle spoglie mortali dei propri figli. Chi ha visto un bambino nato tra le 20 e le 22 settimane di gestazione lo sa. Sa che è in tutto uguale ad un neonato. Piange, ride, somiglia un po’ a mamma e un po’ a papà, dorme e si ciuccia il pollice, ha le impronte digitali: è un essere umano, unico e irripetibile. Per questo la legge degli uomini regolamenta la possibilità di seppellire i resti mortali di bimbi. Anche sotto le venti settimane di vita intrauterina, basta che i genitori ne chiedano la sepoltura entro le 24 ore dalla nascita. Altrimenti, gli “embrioni e materiale abortivo”, così definiti dalla Legge, subiscono la sorte di tutto il materiale organico umano degli ospedali: diventano “rifiuti speciali” destinati all’incenerimento. Oltre la ventesima settimana di gestazione invece si fa sempre il seppellimento del feto; ma la legge non si esprime sul nome da dare a quella sepoltura, lasciando quindi ad ogni Regolamento comunale il proprio spazio di autonomia. Quello di Roma ha commesso un grave errore: l’essere umano è unico e irripetibile, dunque non si deve mettere un nome al posto di un altro, men che meno quello della madre, certo. Così, per esempio al Vantiniano, fioriscono piccole tombe col nome “Celeste” e un’unica data, talvolta preceduta da due lettere “NM”, nato e morto in quel giorno.
Un luogo di consolazione, dove quei figli possono essere ricordati e ricevere una visita che, lo sa bene chi va a trovare i propri cari defunti, fa bene al cuore di chi la compie. Alcune tombe hanno fiori freschi a novembre; altre hanno piccoli peluche, un unicorno, una fatina, una bambola, una trottola… quanta tenerezza, quanta delicatezza, che malinconia. Quante lacrime sono state versate, e ancora si versano, per quei bimbi mai nati? Mia madre ha i capelli d’argento, una dolcezza infinita e una mente ormai troppo persa tra pensieri strani, preghiere, ricordi antichi, talvolta veri e spesso presunti. Ma c’è un ricordo e una preghiera che non manca mai, ogni santo giorno. Aveva quasi quarant’anni quando perse, per aborto spontaneo al terzo mese, il suo quarto figlio, nostro fratello. Da allora è il figlio in Cielo. La sua mente, che pare scordi tutto ormai, lui no, non lo dimentica: è stato suo figlio, è stato nostro fratello. Per un soffio di tempo, certo, ma cos’è il tempo umano di fronte all’eternità? Un soffio, appunto. E quanto amore ha dato e ricevuto quel soffio, quel nostro Celeste, per essere ancora così malinconicamente ricordato, pregato, amato? Quanto, tutti gli altri Celeste? Allora sì: custodire la memoria e dare degna sepoltura a quei piccoli è e deve continuare ad essere parte alta del nostro essere umani.