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di MARCO TRABUCCHI 05 set 2024 15:27

Le caratteristiche della cura

È un elenco eccessivo di capacità quello che vorremmo attribuire alle persone che si prendono cura degli altri, un elenco di caratteristiche formidabili, che rendono la cura sempre efficace? Inizio a commentare alcune caratteristiche della cura, continuando la descrizione iniziata nel precedente articolo. Capire l’altro, i suoi bisogni e le modalità più efficaci per curarlo richiede sempre un investimento di conoscenza. Curare non è solo un atto generico, ma deve essere indirizzato capendo il bisogno, l’eventuale risposta, la capacità di esercitare gratitudine per chi dona. L’intelligenza è la sorella della cultura; conoscere l’altro e poi esercitare con intelligenza l’arte di inserire una risposta mirata. La cura è ottimista, perché così è sempre in grado di identificare uno spazio per intervenire, anche nelle situazioni più drammatiche.

Mounier ha definito “ottimismo tragico” la condizione psicologica di chi vuole curare nonostante tutto (rifiuti, violenze, egoismi, oggettiva mancanza di strumenti…). D’altra parte, la cura si esplica molto frequentemente in contesti disperati sul piano umano e ambientale; non si chiamerebbe cura se fosse solo un atteggiamento generico. Quindi l’ottimismo tragico è giustificato e, soprattutto, necessario. L’ottimismo è figlio dell’impegno, dell’entusiasmo nel lavoro di cura. È il contrario dell’accidia, della perdita di fiducia, del cinismo; la tragedia dell’altro mette davanti a due strade opposte: l’ottimismo sulla possibilità di ottenere qualche risultato, seppur minimo, oppure l’accidiosa rinuncia a un impegno. Altra caratteristica della cura è il rispetto dell’altro, che si traduce prima di tutto nella rilevazione delle sue capacità naturali; è necessario bilanciare gli atti di supporto con le dinamiche piccole e grandi di chi riceve le cure, perché non devono mai essere ridotte o svilite dalla buona intenzione di aiutare. La cura si affianca e non sostituisce, valorizza la capacità di resilienza, non cancella la possibilità di trasformare le crisi in opportunità secondo logiche di chi riceve la cura, non di chi la offre.

Chi cura stima. In tutti coloro che vengono presi in carico vi è qualche cosa che merita di essere valorizzato, su cui fondare gli atti di aiuto. La stima pone sullo stesso piano il curante e il curato, togliendo all’atto di supporto ogni valenza di sopraffazione, sebbene inconscia, o anche solo di superiorità. La cura si fonda sulla stima, da ricercare anche nelle situazioni più critiche, nelle quali sembrerebbe impossibile coltivarla. Impresa irrinunciabile, perché così l’altro viene interpretato come soggetto, anche quando, a causa di una malattia come la demenza, non fosse capace di esprimere relazioni significative. Infine, la cura non è mai permalosa. Sia chi si occupa dell’altro, sia chi riceve la cura deve tenere un atteggiamento di serena apertura e mai rivendicativo. Anche l’eventuale fallimento è sempre un momento di cura, che nel tempo può portare a risultati migliori.

MARCO TRABUCCHI 05 set 2024 15:27