Politiche attive del lavoro
In Italia quello delle politiche attive del lavoro è un tema del quale si discute da oltre vent’anni. Nel frattempo il mercato del lavoro è cambiato profondamente, rendendo ancor più urgente facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, che spesso non avviene. È infatti sempre più frequente di sentire casi apparentemente paradossali di imprese che faticano a trovare il personale adatto ai loro processi e, allo stesso tempo, la presenza di persone (spesso giovani) che non riescono a trovare lavoro.
Parlare di politiche attive vuol dire parlare di occupabilità delle persone, come faremo a Brescia il 7 giugno nel momento di riflessione organizzato dalla Cisl di Brescia. E sono molti gli aspetti sui quali occorre ancora lavorare affinché le politiche attive rappresentino un insieme di strumenti di garanzia per le persone che si trovano di fronte ad un mercato del lavoro più mutevole. In primo luogo la riqualificazione delle competenze deve essere intesa come un vero e proprio diritto per le persone a fronte di un cambiamento tecnologico rapido, che richiede aggiornamento continuo che non sempre è possibile a causa della difficoltà all’accesso di percorsi formativi veramente utili. Questo va di pari passo con la possibilità per le persone di monitorare nel tempo, con cadenza regolare, l’attualità delle competenze da loro possedute, per valutare la necessità o meno di un aggiornamento professionale. Difficile che una sfida come questa possa essere vinta da soggetti singoli, che da soli possono fare poco.
È difficile che possa essere vinta se affidata unicamente alla struttura pubblica dei servizi al lavoro che, come mostrano gli ultimi monitoraggi Anpal, ha ancora molta strada da fare per riuscire ad offrire quel livello di personalizzazione dei percorsi che è necessaria soprattutto per accompagnare le persone più in difficoltà. Per questo motivo occorre un approccio territoriale, che attivi tutti gli attori che hanno a che fare con il lavoro e con la formazione, a partire dalle imprese, le loro realtà di rappresentanza e dai rappresentanti dei lavoratori che dovrebbero avere una diretta conoscenza dei bisogni. Passando poi per le scuole e le università, gli Its, i centri di ricerca, le pubbliche amministrazioni, le agenzie per il lavoro. In questo sforzo la dimensione territoriale è centrale per poter costruire un vero e proprio ecosistema che metta in comune i bisogni, le persone e gli strumenti per farli incontrare a beneficio di tutti.