Lavoro: occorre reagire
Un macchinario porta bancali che schiaccia l’operaia di una vetreria del Piacentino. Il gancio di una gru che colpisce alla testa un portuale a Ortona. Una catasta di tubi che travolge un lavoratore nel Torinese. Il tetto di un capannone nel Casertano che cede sotto i piedi di un operaio. Quattro morti sul lavoro nel giro di due giorni. E poi le denunce di infortunio che crescono ad un ritmo vertiginoso. Non passa giorno senza che impresa, sindacato, lavoratori e istituzioni riescano a tradurre in concreto lo sconcerto di fronte al ripetersi di episodi così drammatici, salute e sicurezza sul lavoro sono parole che rischiano di perdere significato.
Occorre reagire. I gesti simbolici possono essere utili, richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica, ma purtroppo non cambiano di una virgola la situazione e, soprattutto, non devono essere utilizzati per metterci in pace con la coscienza. La prima cosa da fare è quella di cancellare dalla mente l’idea di essere di fronte a una fatalità, al capriccio del caso. Chi ha perso la vita sul lavoro va onorato con la verità. Accanto alla strumentazione sempre da verificare, sappiamo che l’abitudine è un altro avversario pericolosissimo della sicurezza: la si combatte solo con una formazione incessante contro gli infortuni, con una convinta condivisione dei percorsi necessari, mettendo da parte convenienze, resistenze, pigrizie.
La strada della prevenzione è complessa, e proprio perché agisce sulla consapevolezza spesso non ha traduzione immediata, ma è la sola che possiamo e dobbiamo percorrere. Ben sapendo che c’è anche una consapevolezza nuova del fenomeno che deve essere fatta propria da tutti coloro che hanno voce in capitolo. Le norme sulla sicurezza ci sono, sono vincolanti, impegnano tanto le aziende quanto i lavoratori, hanno figure di riferimento precise, con responsabilità chiaramente individuate.
Il fatto è che la sicurezza non si conquista una volta per tutte, perché la routine è sempre una minaccia, perché la stanchezza abbassa la soglia di attenzione, perché la Regione ha drasticamente ridotto il personale ispettivo, perché occorre lavorare sulla cultura della sicurezza e renderla accessibile anche a chi viene da lontano, parla altre lingue e ha altre abitudini, e non da ultimo perché le aziende hanno modalità organizzative del lavoro fortemente sollecitate dall’evoluzione tecnologica. Per questo serve più formazione, necessaria tanto ai lavoratori quanto ai datori di lavoro, più confronto, più controllo, più collaborazione.