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di MARIAGRAZIA ARDISSONE 26 set 2024 15:23

Lavoro e felicità

Il tema del rapporto tra reddito e felicità è ampiamente dibattuto e, soprattutto, non nasce improvvisamente nell’oggi ma è stato ed è ancora oggetto di riflessioni importanti. E non stupisce lo sia, se è vero che quando parliamo di reddito, automaticamente, il pensiero si aggancia alla sua fonte generativa, il lavoro. È della metà degli anni ‘70 lo studio condotto negli Usa da R. Easterlin, accademico californiano, volto a capire la relazione tra reddito e felicità. Gli esiti evidenziarono che, all’aumentare del reddito, del benessere economico, la felicità individuale cresce sino ad un determinato punto, per stabilizzarsi. Poi, addirittura, abbassarsi, con una inattesa curva in discesa. È conosciuto come il paradosso di Easterlin e evidenzia, dunque, che la felicità non dipende unicamente dal reddito, ma anche da altro.

Ma dagli anni ‘70 ad oggi, posti gli sviluppi sul tema economia-felicità, quanto vale tutto ciò, che peso ha se pensiamo alla complessità e trasformazione del lavoro? Quanto può influire il lavoro, fonte di reddito, sulla determinazione della felicità individuale? E mi viene in mente una ricerca recentemente condotta dall’Osservatorio Managerial Learning ASFOR (Associazione Italiana per la Formazione Manageriale) e ISVI (Istituto per i Valori d’Impresa) 2023, la quale tratteggia le tendenze che emergono dai dati ufficiali relativi al mercato del lavoro, evidenziando che il numero delle persone inoccupate o disoccupate sta diminuendo ma rimane aperto. Ed è questo il grande tema, il pensiero sul valore generato dal lavoro (PIL) e sul valore personalmente e soggettivamente attribuito al lavoro.

Rispetto a quest’ultimo, entrano in gioco altri asset, quali, per esempio, il sistema valoriale e il benessere soggettivo. Tra i risultati emersi dall’indagine condotta su un campione di occupati è emerso che il lavoro è una componente certo importante e necessaria della vita, ma non pare più protagonista principale come un tempo e viene talvolta ridefinita la gerarchia delle priorità personali. E, ancora, “gli aspetti immateriali, a cominciare dalla relazionalità con i colleghi, sono oramai molto più importanti che in passato” e importante è “riconoscere il luogo di lavoro come una comunità di valori”. “Leadership efficace e diffusa, comunicazione e condivisione della visione, centralità delle persone come progetto aziendale” sono le priorità evidenziate dallo studio. Ma se il professor Easterlin oggi, dopo 50 anni, riproponesse il medesimo studio, quanto troverebbe conferma delle evidenze di allora? E quali altre e nuove evidenze magari prenderebbero forma?

MARIAGRAZIA ARDISSONE 26 set 2024 15:23