La violenza è di casa
Nell’anno della Capitale della cultura, ci siamo sdegnati per la violenza rozza e stupida dopo la partita tra Brescia e Cosenza. Eppure, la violenza è, ormai, un fatto culturale, utilizzato ovunque. È violenza l’omicidio di una donna con il bambino in grembo; è violenza l’utilizzo spregiudicato sui mezzi di comunicazione e sui social delle parole della madre dell’assassino che sono un grido alla ricerca del senso, non una clava da brandire; è violenza quella piccola e strisciante che si aggira nei quartieri quando i ragazzi subiscono la tirannia di qualche gang o di qualche spacciatore. L’enciclopledia Treccani dice che la violenza raggiunge il suo scopo “coartando la volontà altrui sia di azione sia di pensiero e di espressione”: sta diventando cultura della nostra vita, alla faccia di chi si scandalizza, perché continuiamo ad usarla, a fare nostre le sue logiche perverse. Violenza è anche “indurre altri a fare o ad accettare cosa in sé non sgradita, vincendone la resistenza con modi delicatamente insistenti e persuasivi”. C’è un fare “violenza” su noi stessi per crescere, per non cedere alle semplificazioni, per lavorare sull’interiorità, perché sappiamo elaborare con forza soluzioni alternative. Decidere di quale violenza armarci è un bell’obiettivo per l’anno della cultura e oltre.