La storia bresciana del Pci
Cent’anni di Pci, anni difficili, pieni di utopie ma anche di contrasti ideologici non sempre comprensibili e giustificabili. Tutto incominciò a Livorno il 21 gennaio 1921, quando al Congresso socialista di Livorno, Bordiga e Gramsci fondarono il partito che secondo loro doveva rappresentare l’anima popolare e operaia. Incominciarono in pochi, poi aumentarono e si opposero al fascismo, diedero impulso alla lotta al regime, furono in prima fila nella guerra di liberazione, difesero i principi di libertà e di democrazia destinati a far nascere la Costituzione “più bella del mondo”. Dopo la guerra contribuirono a rendere forte il movimento sindacale, si distinsero nelle battaglie a tutela del lavoro e dei diritti civili, si batterono per ridurre le disuguaglianze e per difendere i valori della solidarietà e dell’accoglienza; negli anni del terrorismo nero e rosso difesero le Istituzioni, quando prese vigore l’idea dell’Europa unita sognarono e aiutarono a porre solide fondamenta. Cammin facendo diventarono tanti, poi tantissimi fin quasi al punto di scalzare la Dc.
Quelli che del comunismo hanno visto e vissuto solo l’altra metà – quella post bellica – sanno di quante fatiche è stata costellata la strada verso il disimpegno dai protezionismi dell’allora dominante “internazionale socialista”, conoscono le sofferenze patite di fronte ai soprusi sovietici, riconoscono quanto sia stato difficile smettere la casacca rossa e vestire quella del dialogo con i cattolici e i democristiani. In questo susseguirsi di eventi Brescia ha fatto la sua partei. Tutto questo è adesso racchiuso in un volume (“Comunisti - il Pci bresciano: una breve storia - 1921-1990” – Edito da “Liberedizioni” per Fondazione DS), che si avvale dei contributi di Claudio Bragaglio, Paolo Corsini, Paolo Pagani, Gianfranco Porta e della cura di Marcello Zane. Il libro racconta la storia con indubbia passione ma anche con qualche evidente mancanza di esame e giudizio (sull’Ungheria, su Praga, sul sessantotto, sui brigatisti rossi, sul tramonto dell’ideologia comunista, sulla Polonia, sulla decadenza inesorabile della Sovietica Unione…), giustificabile soltanto se questa è da considerarsi soltanto una “breve storia” dedicata all’esperienza bresciana che “possiamo rileggere – scrive Claudio Bragaglio a conclusione - con l’orgoglio delle nostre migliori radici, anche al fine di rendere più sicuro il nostro passo rivolto al futuro”.